I ritratti di Camille Corot: un combattuto omaggio alla modernità
C’era una volta un pittore apprezzato soprattutto come paesaggista. Io stessa imparai a riconoscerne lo stile attraverso le fronde spumose dei suoi boschi idilliaci.
Tuttavia, come appresi a una mostra del Musée Marmottan Monet (2018), Jean-Baptiste-Camille Corot (1796-1875) si dedicò con costanza anche al ritratto, sebbene con un approccio del tutto differente da quello riservato alla sua arte “ufficiale”, per così dire.
Si fatica a credere che Corot non proponesse quasi mai i suoi ritratti ai compratori. Le figure che realizzava, infatti, erano destinate a rimanere nell’ombra del suo atelier come opere incompiute o destinate agli amici intimi.
Non che l’autore se ne vergognasse anzi, ma preferiva riservare il genere a una sua ricerca personale. Nel ritratto, Corot sperimentava quell’incontro tormentato tra tradizione e modernità che assillava la sua epoca, mentre nei paesaggi conservava un forte legame con l’arte classica, come dimostra la composizione.
Un paesaggio classico si compone solitamente di un paio di masse scure ai lati che, come le quinte di un palcoscenico, spingono lo sguardo al centro, libero di perdersi in lontananza. Le figure umane sono piccole, inserite in modo da rispettare le proporzioni e l’armonia dell’insieme.
Ora, per quanto riguarda i ritratti, occorre tener presente che Corot discendeva da una famiglia di modisti di Parigi, perciò la resa del taglio degli abiti e dei tessuti è particolarmente accurata, come dimostrano queste opere in cui i giochi di volume della moda degli anni Trenta del 1800 sono perfettamente descritti.
“La lettrice coronata di fiori” riassume invece diverse tradizioni pittoriche, come quello della malinconia tipico dell’Ottocento, quello classico della figura inserita nel paesaggio ed infine quello tipicamente settecentesco della lettrice.
Dal 1860 Corot venne travolto, come tutti, da una nuova concezione di arte: conobbe il lavoro rivoluzionario di Courbet, Manet, Degas… e da artista serio qual era, non poteva rinunciare a trarne delle lezioni.
Da quel momento, le figure dei suoi paesaggi diventarono più monumentali, importanti e dotate di personalità.
Ecco ad esempio uno splendido nudo classico solo in apparenza, la “Baccante con il tamburello”, il cui sguardo sfrontato ricorda quello dell’Olympia dipinta da Éduard Manet (1863).
Si tratta di uno dei rarissimi esempi di figure esposte pubblicamente da Corot al Salon (1861). Questa bella dama aveva l’importante compito di riscattare la reputazione del suo creatore, accusato di non saper dipingere altro che paesaggi!
Esattamente come la famosa Olympia, anche la baccante venne giudicata brutta, indecente e scandalosa per via del suo realismo anche se, a differenza di Manet, Corot non si era spinto fino a collocare il nudo addirittura in un contesto contemporaneo!
Il tema mitologico doveva proteggerla dalle ingiurie e scusare la sua nudità, ma le cose andarono diversamente.
Fare la modella per gli artisti del tempo di Corot era un mestiere tutt’altro che piacevole, costituito da ore e ore trascorse nell’immobilità e in ambienti spesso nemmeno riscaldati.
Nell’atelier di Corot, almeno, l’immobilità non era obbligatoria: il pittore preferiva cogliere nel movimento la posa perfetta per le sue figure.
Finalmente, con la celebre Dama in Blu, Corot raggiunse un risultato inedito per il suo percorso artistico.
Corot non amava ritrarre gli abiti a lui contemporanei, preferendo vestire le sue figure di panni esotici o mediterranei, come voleva la tradizione classica.
In questo caso, il pittore fece uno strappo alla regola e, non contento, esaltò l’abito attraverso la posa della modella (nello specifico, si tratta di Emma Dobigny, già ritratta da Degas e Puvis de Chavannes).
Una donna contemporanea in un ambiente contemporaneo, il presente sulla tela senza il filtro della mitologia, insomma la sperimentazione di un’arte nuova!
La dama in blu può essere considerato l’omaggio di un pittore della vecchia scuola alla nuova generazione di artisti (Manet, Degas, Monet …) che osava, proprio in quegli anni, proporre nuovi soggetti tratti dalla vita quotidiana, invece che dalla storia, la religione o i miti antichi.