Il Grand Guignol: sangue, torture, humour e spettacolo
«Mia cara, ho bisogno di un brivido. Facciamo un giretto al manicomio?»
«Abbi pietà, tesoro. Ci siamo stati ieri: ho ancora mal di testa».
«All’obitorio?»
«Per carità! Ho l’abito nuovo e profumato. Perché non andiamo a teatro?»
«Non è la stessa cosa».
«Solamente se non è il Grand Guignol!».
Benché di fantasia, alla fine del XIX secolo a Parigi, uno scambio del genere sarebbe stato verosimile.
La cosiddetta Belle Époque fu un periodo di trasformazioni febbrili per la capitale. Alcuni quartieri assistettero ad un fiorire senza precedenti di locali di varietà, teatri, music halls e cabarets.
Tra questi, spiccavano Montmartre e dintorni, dov’era possibile trovare locali della tipologia più varia e imprevedibile.
Tuttavia, le meraviglie del progresso incalzante e lo spettacolo continuo non poterono far fronte al male tipicamente borghese di fine secolo, ossia l’ennui, il tedio, la latente frustrazione generata da un sistema sociale rigido sia moralmente che mentalmente.
Nello stesso periodo, iniziarono a circolare le traduzioni dei testi di Sigmund Freud, quali L’Interpretazione dei sogni (1900), Sul sogno (1901), Psicologia della vita quotidiana (1901)…
La generalizzata necessità d’esorcizzare l’inconfessabile, in particolare attraverso la sua rappresentazione, fece dello spettacolo del macabro, del grottesco, della follia e di tutte le manifestazioni della perversione umana il diversivo più gettonato della Parigi “per bene”.
Per fare un esempio, il leggendario cabaret du Néant (‘il cabaret dell’Oblio’) attirò una notevole clientela a partire dal 1892, al 34 di boulevard de Clichy.
Il locale accoglieva i clienti in un’atmosfera da catacomba molto apprezzata. Spettacoli a base di spettri e di scheletri sullo sfondo d’oscuri sotterranei costituivano il pezzo forte della serata, ed il ristoro della clientela avveniva attorno a tavoli a forma di bara.
Sull’onda di ciò, nel 1897 – anno della comparsa di Dracula di Bram Stoker – un piccolo teatro “dell’orrore” chiamato Grand Guignol aprì le porte al 20 di rue Chaptal, in una cappella sconsacrata dall’aspetto opportunamente cupo.
Decorata in stile neogotico dai precedenti proprietari, la location pareva uscita direttamente dal romanzo di Stoker. Più che mai à la page!
All’origine dell’idea vi era un turbolento scrittore teatrale di 38 anni, Oscar Méténier (1859-1913). Segni particolari: un paio di baffi notevoli e un trascorso come aiutante del boia di Parigi.
Guignol era il nome di una marionetta ideata nel 1808 da Laurent Mourguet a Lione. Tradizionalmente, i suoi spettacoli denunciavano le ingiustizie sociali attraverso la satira, attirando da una parte il favore del pubblico e dall’altra gli interventi impietosi della censura.
Su esempio del coraggioso Guignol – che in rue Chaptal divenne Grand, per sottolineare la taglia degli attori – Oscar Méténier intendeva raccontare gli orrori di Parigi, le ombre della Ville Lumière, i bassifondi, le vie pericolose, i circoli malfamati, il lato putrido della scintillante Belle Époque.
Nessuna fantasia, solo verità, quella che Méténier aveva conosciuto nel braccio della morte.
Che tipo era il fondatore del Grand Guignol?
Un tizio infervorato, petulante, col “fuoco sotto al culo”. Così lo descrisse il suo amico cantante e scrittore Aristide Bruant (1851-1925), figura di spicco dei cabarets parigini dell’epoca. Curiosamente, i suoi tratti sono oggi più noti del suo nome, grazie alle locandine che il celebre Henri de Toulouse-Lautrec eseguì per lui.
Nonostante il discreto successo, il Grand Guignol dovette scontrarsi dolorosamente con la censura. L’audace impronta sociale delle pièces di Méténier non passò inosservata alle autorità, così il teatro dovette subire dei frequenti periodi di chiusura che non aiutavano certo a pagare le spese.
Nel 1897, la direzione passò nelle mani di colui che avrebbe fatto della sala di rue Chaptal un’autentica “casa degli orrori”.
Paragonato a Méténier, l’ingegnere e giornalista Max Maurey (1866-1946) aveva meno baffi e forse meno talento artistico, ma un naso per gli affari decisamente più sviluppato.
Pare che Maurey valutasse il successo di uno spettacolo dal numero di svenimenti in sala. Come trovata pubblicitaria, decise di ingaggiare un medico e di farlo sedere tra il pubblico, onde garantire soccorso in caso di malore.
Uno dei suoi meriti fu quello di servirsi del talento di André de Lorde, uno dei più prolifici autori del Grand Guignol.
Amabile, elegante e paffutello, il cosiddetto principe del terrore aveva un aspetto del tutto insospettabile.
Tra un caffè e un cordiale, de Lorde concepiva trame abominevoli, servendosi spesso del consulto di medici e uomini di legge.
Se Méténier aveva portato sulla scena il lato oscuro della Ville Lumière, de Lorde vi portò quello ancor più sfuggente della Belle Époque.
“Se si volesse caratterizzare lo stato d’animo della nostra epoca basterebbe una parola: l’inquietudine. Questa inquietudine si mostra in ogni avvenimento. Che lo confessiamo o no, un’oscura angoscia attanaglia la maggior parte dei nostri contemporanei… Questo secolo febbrile non ha conosciuto la gioia di vivere; ha visto invece fin dal suo inizio farsi più grande una minaccia ogni giorno più precisa”.
André de Lorde
(estratto dall’opera di Corrado Augias, I Segreti di Parigi)
I suoi erano atti unici di breve durata che rendevano superfluo il temuto “intervallo”. Un’interruzione, infatti, avrebbe spezzato il climax drammatico delle pièces, privando il pubblico del promesso spavento. Possiamo facilmente immaginare la scena:
«No ti prego… no… Aaah!!!»
(budella volanti, fiotto di sangue, gorgogliare disgustoso, lunga agonia).
«Dlin-Dlon… Informiamo i gentili spettatori che lo spettacolo riprenderà tra cinque minuti».
«Fame, cara?»
Per tale ragione, era possibile assistere alla messa in scena di cinque o sei pièces nel corso della medesima serata.
Gli spettacoli di questa nuova edizione del Grand Guignol riprendevano casi reali di cronaca nera, oppure inscenavano racconti di fantasia immancabilmente perversa, non di rado arricchiti da qualche tocco erotico. Il tutto era “impreziosito” da incredibili effetti speciali, i primi del loro genere!
Propongo di seguito un immaginario menu “grandguignolesco” che restituisca un assaggio dei temi toccati dalle rappresentazioni:
Il teatro chiuse definitivamente le sue porte nel 1962: gli effetti speciali del cinema erano diventati troppo competitivi, ma soprattutto, dopo gli orrori delle guerre, i suoi spettacoli non spaventavano più nessuno.
Le attrezzature, il sangue finto e i suoi macabri cimeli vennero venduti a un’asta.
Se il sipario di rue Chaptal non si alzò mai più per degli spettacoli dell’orrore, è possibile comunque trovare qualche assaggio del Grand Guignol parigino in giro per il mondo.
Una compagnia italiana di Bologna, Teatro Circolare, dopo un lungo lavoro di ricerca, traduzione e riadattamento, rimette in scena alcune pièces del repertorio classico, complete di effetti speciali sanguinolenti e malesseri del pubblico. Non so se sia garantita la presenza di un medico in sala.