Il museo Guimet: i viaggi di un esploratore tra le meraviglie dell’Oriente
Il XIX secolo ha un fascino unico, quello della Scoperta.
La scienza, la tecnica, l’industria vivono in quel periodo i loro anni d’oro e le arti non possono esimersi dal cantarne le promesse e i pericoli: Jules Verne e i suoi romanzi sono l’esempio di punta.
Esiste però una via della Scoperta che mi ha sempre ammaliato più delle altre, ed è il viaggio. Non sempre è facile spostarsi, è vero, ma viaggiare il mondo rimanendo in città a Parigi è possibile per fortuna, proprio come ai tempi della Belle Époque. E se cerchiamo un perfetto porto di partenza, quello non può che essere il magico museo Guimet o Museo nazionale delle Arti asiatiche.
Émile Guimet era figlio dell’inventore del blu oltremare artificiale (il « blu Guimet », appunto) ed era destinato a riprendere con successo l’attività industriale del padre. A Émile, però, la vita dell’industriale non bastava: dentro di lui scalpitava un esploratore.
Il primo viaggio che intraprese fu in Egitto, come era di moda a metà del 1800, e ne tornò con oggetti meravigliosi che però
“restavano muti e che tuttavia avevano qualcosa da dirmi, ma io non sapevo come interrogarli.”
Émile Guimet intraprese allora un doppio viaggio straordinario: uno avvenne attraverso le innumerevoli letture che potevano appagare il suo desiderio di comprendere le civiltà scomparse; l’altro fu nel 1876-1877 e lo portò a compiere il giro del mondo.
Il ritorno in patria portò con sé un’importante decisione: Émile Guimet avrebbe fondato un museo per offrire al pubblico i tesori che aveva raccolto durante i suoi lunghi viaggi. Il primo aprì a Lione, la sua città natale, nel 1879. Una vera delusione per l’avventuriere assetato di conoscenza che aveva fatto il giro del mondo: le sue meraviglie non vennero apprezzate a dovere e i visitatori furono scarsi.
Poco male: Guimet decise di donare la collezione allo Stato che aprì, nel 1889, un nuovo museo a Parigi al numero 6, place de Iéna (sito web qui). Guimet ne fu nominato direttore a vita e il successo questa volta fu formidabile. La sua creazione, che Émile amava definire « fabbrica di scienze filosofiche », sapeva far sognare i parigini sempre assettati di nuove meraviglie, specialmente in quel periodo carico di frenetica aspettativa quale fu la Belle Époque.
Il museo, secondo l’idea di Guimet, non andava inteso solamente come luogo dedicato alla conservazione della sua immensa collezione. Nelle sue sale si fabbricava il sapere. Gli oggetti rituali, d’arte e artigianato che aveva raccolto erano corredati da una mole notevole di libri sulla storia delle religioni, dizionari e grammatiche di lingue asiatiche, racconti di viaggi, manoscritti, testi sacri e mitologici che illustravano le differenze religiose e culturali tra le diverse civiltà.