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L’Affare del Garofano: l’ultima speranza di Maria Antonietta

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Questa è una storia vera, anche se difficile da credere.

La vicenda ricorda la trama di un romanzo e a dirla tutta qualcuno il romanzo lo ha scritto. S’intitola “Le Chevalier de Maison-Rouge” (‘Il Cavaliere di Maison-Rouge’) e porta la firma del grande Alexandre Dumas.

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L’edizione digitale in francese del romanzo di Dumas ispirato alla vicenda dell’Affare del Garofano, “Le Chevalier de Maison-Rouge”. La prima edizione risale al 1845-46.

Al momento del lancio editoriale, l’opera portava un titolo diverso: Le Chevalier de Rougeville”.

Proprio allora, Dumas ricevette una lettera firmata Charles François Alexandre de Rougeville, figlio del fantomatico cavaliere citato nel titolo del romanzo.

Essendo perfettamente a conoscenza delle convinzioni repubblicane del celebre Dumas, Charles temeva che l’opera intendesse attaccare la figura di suo padre, le cui azioni durante gli anni della Rivoluzione erano state, per sua stessa ammissione, “misteriose”…

Sorpreso di scoprire un erede del cavaliere ancora in vita, Dumas si premurò di informare Charles che il romanzo andava “tutto a onore” di suo padre, ma che avrebbe provveduto comunque a mutare il nome del protagonista in Maison-Rouge.

Alexandre Gonsse de Rougeville (1761-1814)
Alexandre Gonsse de Rougeville, il vero cavaliere di Maison-Rouge (1761-1814, photo from Herodote.net)

Eh sì, al di là delle sue convinzioni politiche, Alexandre Dumas era prima di tutto umano e la figura dell’ultra-monarchico Alexandre Gonsse de Rougeville (1761-1814) era riuscita a conquistarlo. Vediamo insieme perché.

Temerario o incosciente?

Il cavaliere rimane un personaggio difficile da inquadrare, eppure su almeno due aspetti della sua personalità non possono esistere dubbi, ossia la sua cieca e totale devozione alla causa monarchica, così come la sua temerarietà… o follia che dir si voglia.

Alexandre Gonsse de Rougeville era un autentico sbruffone. Osava millantare un’origine nobile di fatto inesistente che non di meno percepiva come un diritto.

La sua posizione a riguardo può essere riassunta nella risposta che diede alla polizia rivoluzionaria durante il corso di uno dei suoi numerosi interrogatori:

«Siete nobile?», gli venne domandato.
«Lo sono per i miei servizi militari».

Il cavaliere si fregiava pertanto di una nobiltà acquisita per merito che attendeva solo di venir riconosciuta ufficialmente.

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Un’illustrazione di Eugène Lampsonius (1822-1871) dal romanzo di Alexandre Dumas, “Le Chevalier de Maison Rouge”.

Quando si tratta di Rougeville, il confine tra menzogna e realtà non è semplice da tracciare. I “servizi militari” a cui fa riferimento nelle sue memorie sono spesso inventati, abbelliti e romanzati, eppure non tutto è invenzione.

Per esempio, gli storici hanno dibattuto a lungo sulla sua effettiva partecipazione – all’età di 15 anni! – alla Guerra d’Indipendenza americana in qualità di aiuto di campo del generali Washington e Lee, così come dichiarato dal cavaliere.

Ebbene, un recente studio della storica Michelle Sapori ha scoperto che in effetti il giovane e focoso soldato de Rougeville, in America, c’era stato davvero! Va bene, forse non era proprio con Washington e Lee, ma concediamogli questa vanità…

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Il saggio di Michelle Sapori sul cavaliere di Rougeville (2016).

Altra prodezza accertata: durante uno dei due più famosi assalti al palazzo delle Tuileries da parte del popolo parigino (20 giugno 1792), Rougeville si trovava al fianco della famiglia reale in qualità di membro della Guardia Nazionale.

Fu lui ad impedire alla regina di raggiungere il re che, in quel momento, si trovava a fronteggiare una folla incontenibile.

«Lasciatemi passare; il mio posto è accanto al re!», ordinò la sovrana.

Niente da fare, troppo pericoloso: la folla – Rougeville lo sapeva bene – cercava lei, l’Austriaca.

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Il palazzo delle Tuileries verso il 1860 con l’Arc du Carrousel (photo by Wikipedia).

La leggenda vuole che il cavaliere avesse addirittura osato trattenerla per un braccio! Oggi non daremmo alcun peso a un incidente simile, ma in un’epoca in cui le persone dei sovrani erano considerate – ancora per poco – sacre ed inviolabili, l’atto di Rougeville potrebbe definirsi sacrilego.

Osò dunque veramente toccare Sua Maestà? Dopotutto il cavaliere era impulsivo, passionale, spregiudicato e non essendo nobile non aveva familiarità con l’etichetta di corte.

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Questo orologio da mensola (1772, Getty Museum) si trovava nella Sala del Consiglio del palazzo delle Tuileries. Fu in questa sala che Rougeville raccontò d’aver condotto la regina Marie-Antoinette durante l’assalto del 20 giugno 1792. Magari potesse parlare per raccontarci come andarono davvero le cose!

Non è possibile tracciare il confine tra la realtà e i “filtri” letterari atti ad abbellire il ricordo, ma quel che è certo è che Rougeville quel giorno a palazzo c’era. Non solo: i fatti dimostrano che la regina lo conosceva, come vedremo tra poco.

Più tardi, mentre la famiglia reale era confinata presso la prigione del Tempio, Rougeville cospirò senza sosta assieme ad altri fedelissimi della corona per organizzare l’evasione del re Louis XVI.

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Joseph Duplessis, Ritratto di Louis XVI con l’abito dell’incoronazione (1777, Musée Carnavalet, photo from herodote.net).

Quando fu evidente che ogni speranza di liberarlo era vana, il cavaliere decise di candidarsi alla difesa del ex-sovrano in occasione del processo. Purtroppo Louis XVI preferì degli avvocati propriamente detti. Si può biasimarlo?

Che fece allora Rougeville?

Mentre la Francia attendeva col fiato sospeso l’esito del processo, il cavaliere pubblicò un saggio intitolato “Riflessioni morali e politiche sul processo a Louis XVI” in cui implorava di risparmiare la vita al sovrano.

Va notato che a quel tempo nessuno osava più pronunciare il nome di Louis XVI: il re di Francia era ormai un normale cittadino, da chiamarsi col nome borghese di Louis Capet.

Non contento, Rougeville aveva osato pubblicare il discorso a suo nome, nonostante gli fosse stato caldamente sconsigliato.

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Un’illustrazione di Eugène Lampsonius dal romanzo di Dumas “Le Chevalier de Maison-Rouge” che raffigura il cavaliere in missione segreta alla prigione del Tempio. Lo vediamo spiare la regina, sua figlia e sua cognata durante l’ora d’aria che si svolgeva sul tetto. Nel romanzo, il cavaliere di Maison-Rouge è perdutamente innamorato della sovrana, ma Rougeville non lo era, non in quel senso. “In lei amava la sposa di Louis XVI”, per usare le parole di Michelle Sapori.

Abbiamo capito che il cavaliere amava il rischio, ma siamo ben lontani dall’imaginare fin dove poteva spingersi.

Una volta ghigliottinato il re, Rougeville giurò che non si sarebbe fermato fino a che anche solo un membro della famiglia reale fosse stato in pericolo.

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Alexandre Kucharski, ritratto incompleto della regina Marie-Antoinette eseguito al palazzo delle Tuileries, conservato oggi a Versailles (fine XVIII secolo).

L’Affare del Garofano

Più tardi, grazie a una fitta rete di corruzioni e d’intrighi ad altissimo rischio, il cavaliere riuscì a penetrare fino a tre volte nel carcere di massima sicurezza dell’epoca, la Conciergerie.

Obiettivo: organizzare l’evasione della ex-regina Marie-Antoinette.

La folle impresa passò alla storia come l’Affare del Garofano, per via del mezzo rocambolesco con cui Rougeville fece pervenire alla regina uno o due biglietti (le versioni sono discordanti) recanti le istruzioni per realizzare il piano.

Questi erano stati arrotolati stretti stretti e dissimulati nella corolla di un garofano.

Il cavaliere aveva vestito un anonimo abito borghese e aveva appuntato il fiore all’occhiello, pronto a dare il via all’operazione.

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Il palazzo della Conciergerie sull’Île-de-la-Cité visto dalla Senna. Qui trascorsero le ultime giornate della deposta sovrana Marie-Antoinette.

Il 28 agosto 1793, Rougeville si presentò ai cancelli della Conciergerie – naturalmente sotto falso nome – in compagnia del capo della polizia Jean-Baptiste Michonis. Costui era incaricato dell’ispezione delle carceri ed era perciò considerato al di sopra di ogni sospetto, e invece…

La presenza di uno sconosciuto non mise nessuno in allarme, poiché il “cittadino Michonis” aveva già accompagnato qualche visitatore curioso a vedere la “Vedova Capeto”.

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Jean-Baptiste Michonis, funzionario di polizia. Tra i suoi compiti, vi era stato quello di trasferire la “vedova Capet” dalla prigione del Tempio a quella della Conciergerie. Michonis fu il complice chiave di Rougeville nell’Affare del Garofano. All’epoca aveva 58 anni, il cavaliere poco più di 30 (photo from La Révolution Française by André Castelot, edizioni Perrin, 1986).

Giorni più tardi, nel ricordare quella visita, uno dei due gendarmi incaricati di sorvegliare da vicino la prigioniera ricordò d’aver notato la comparsa di un improvviso rossore sul volto della “vedova Capet” – perfino una lacrima – proprio nel momento in cui Michonis e il visitatore sconosciuto erano entrati nella cella.

Mentre il funzionario distraeva le guardie, il cavaliere finse di ispezionare le sbarre e le pareti come a volerne verificare la solidità.

Nel frattempo, la prigioniera penava a celare la sua emozione, avendo riconosciuto immediatamente il temerario soldato che già l’aveva salvata una volta. Cosa gli era saltato in mente? Cosa ci faceva lì? Era temerario o semplicemente pazzo?!

A un tratto, un fiore cadde ai suoi piedi. La regina non comprese, allora il cavaliere le fece cenno con gli occhi di raccoglierlo.

Marie-AntoinetteLutto
Marie-Antoinette in lutto alla prigione del Tempio, Alexandre Kucharski (fine XVIII secolo, Centre des Monuments Nationaux)

Michonis e Rougeville non avevan più scuse per rimanere e si diressero quindi verso il cortile.

Tutto si svolse in pochi minuti: Marie-Antoinette finse di essersi ricordata d’avere un reclamo da riportare a Michonis e domandò a Gilbert, una delle due guardie, di farle da portavoce. Il gendarme uscì.

Sotto la sorveglianza di una sola guardia, fu più semplice raccogliere il fiore, scoprire il messaggio, leggerlo e subito inghiottirlo.

Con ogni probabilità, si domandava alla regina di avere fiducia e di cercare di comprarsi la collaborazione delle due guardie, promettendo del denaro che il cavaliere le avrebbe consegnato durante la sua prossima visita.

Marie-Antoinette nella sua cella alla Conciergerie (photo from History and other thoughts)

Le dinamiche di ciò che seguì, così come il grado di connivenza dei gendarmi, di Michonis e in generale del personale addetto alla custodia della regina sono poco chiare, ma possiamo fare delle valide ipotesi.

La regina rifletté a lungo ed infine trovò il coraggio di parlare coi suoi guardiani.

Raggiunto un accordo, Marie-Antoinette incise la risposta per il cavaliere su un pezzetto di carta con l’aiuto di un ago e lo affidò a Gilbert.

Il biglietto è conservato oggi agli Archivi Nazionali ed è completamente illeggibile. Venne tentata una vaga traduzione di cui solo la terza riga pare sensata:

Mi fido di voi. Verrò.

Nelle righe precedenti, probabilmente, la regina assicurava la collaborazione dei gendarmi.

BigliettoAffareGarofano
Al margine sinistro di uno dei verbali degli interrogatori seguiti all’Affare del Garofano, è allegato il fatidico biglietto su cui Marie-Antoinette incise la sua risposta a Rougeville, (indicato dalla freccia). Il tutto è conservato agli Archivi nazionali (photo from La Révolution Française by André Castelot, edizioni Perrin, 1986).

Il gendarme Gilbert, sotto interrogatorio, sostenne d’aver consegnato subito il biglietto alla moglie del concierge (il direttore della prigione), ma è più probabile che gli venne sequestrato. Convinta di far cosa saggia, la donna lo rimise nelle mani dello stesso Michonis.

Sapendo che la voce sarebbe girata e che presto sarebbe stato costretto a consegnare la prova alle autorità, fu probabilmente il funzionario stesso a rendere illeggibile il biglietto con ulteriori trafori.

Più tardi interrogato, Michonis avrebbe confermato d’aver ricevuto il biglietto, ma di non avervi dato importanza sul momento. Meglio spacciarsi per incompetente, che dichiararsi complice!

Conciergerie interno
La sala delle guardie della Conciergerie. Durante la Rivoluzione era stata usata come cella comune perchè le prigioni erano colme.

La notte tra il 2 e il 3 settembre 1793, Rougeville si introdusse nuovamente nella prigione in compagnia del funzionario, col pretesto d’aver ricevuto l’ordine di trasferire la prigioniera di nuovo al Tempio.

Secondo il racconto di Rougeville, non mancava che un’ultima barriera da superare e la regina sarebbe stata salva.

D’improvviso, qualcuno che pure era stato preventivamente comprato – non si sa chi – cambiò idea. Si fece rumore, il rischio di essere scoperti divenne più che mai reale.

Per ordine della stessa Marie-Antoinette, i suoi salvatori si ritirarono e lei fece ritorno alla sua cella.

La conclusione

Più tardi, nel corso di estenuanti interrogatori, la “vedova Capetdifese caparbiamente tutte le persone sospettate di collaborazione nell’Affare del Garofano.

Ancora oggi, gli storici tentennano nel decidere il grado di connivenza del personale addetto alla custodia della prigioniera.

Quel che è certo è che Michonis pagò con la vita il sospetto che gravava su di lui, pur senza compromettere i suoi complici.

Nel frattempo, grazie alla sua rete di contatti, Rougeville si spostò di rifugio in rifugio, nonostante fosse ricercato in lungo e in largo dalla polizia. Per un periodo, si nascose addirittura nelle labirintiche cave di Montmartre!

Dopo essere stato minacciato di morte dalla stampa, il cavaliere si concesse un altro atto da sbruffone.

Sala Grande del Palazzo di giustizia
Sala Grande del Palazzo di giustizia dove si tenevano le sedute del Tribunale rivoluzionario.

Nelle tenebre del suo nascondiglio, preparò due copie di un discorso intitolato “I crimini dei parigini contro la loro regina, dall’autore dei garofani presentati alla sovrana nella sua prigione”.

Debitamente travestito, si diresse quindi in pieno giorno dapprima presso la sede della Convenzione nazionale, poi raggiunse quella del Tribunale Rivoluzionario. Giunse appena prima che iniziasse la seduta e con nonchalance lasciò il suo componimento sul tavolo, come tanti facevano in quel momento in preparazione dell’inizio dei lavori.

Vi lascio immaginare la reazione dei presenti quando le due copie vennero scoperte…

Rougeville, come immaginerete, non cessò di complottare nemmeno dopo la morte della sua regina.

Pagò con la vita la sua caparbietà, ma non sulla ghigliottina.

La sua morte avvenne per fucilazione nel 1814 a Reims. Accusato di alto tradimento per aver servito da guida all’esercito invasore che veniva a rimettere sul trono il fratello di Louis XVI, il Conte di Provenza, Rougeville morì come aveva vissuto, senza bendarsi gli occhi di fronte al pericolo. Una perfetta fine da eroe romantico!