Le belle addormentate del Musée d’Orsay
Il Musée d’Orsay è un concentrato di bellezza unico al mondo in cui scoprire ogni volta una meraviglia diversa. Non conto più né le volte che sono entrata, né le foto che ho scattato ma oggi, sfogliandole, ho notato un tema ricorrente che evidentemente mi attrae: la bellezza assopita, inconsapevole eppure irresistibile, seducente proprio perchè inaccessibile, avvolta dal più impenetrabile dei regni, quello del sogno. Eccone qualche esempio.
Questa dolce Penelope di marmo di Pierre-Jules Cavelier (1849), ad esempio, fa venir voglia di camminare in punta di piedi per non disturbarla. Forse sogna del suo amore, lo vede far ritorno… non sarò io a dirle cosa combinava Ulisse con ninfe e principesse in giro per il mondo!
Poco lontano le seducenti forme della “Donna morsa da un serpente” di Jean-Baptiste Clésinger ricorda lo scandalo che scatenò al Salon del 1847: la voluttuosa scultura, infatti, era stata ottenuta da un calco dal vero del corpo (evidentemente ignudo!) dell’allora famosa Apollonie Sabatier (1822-1890) artista, cortigiana e regina di un celebre salotto d’arte. Il realismo della scultura, in effetti, non lascia dubbi sul mezzo impiegato per realizzarla, e le squisite fattezze della signora potrebbero spiegare come mai il poeta Charles Baudelaire (1821 – 1867) si fosse perdutamente innamorato di Apolline al primo sguardo… la bellezza spirituale, si sa, colpisce sempre un po’ ritardo… persino i poeti!
Il titolo dell’opera doveva essere originariamente Rêve d’Amour (Sogno d’Amore), ma per limitare lo scandalo e gli svenimenti delle signore virtuose della società parigina, Clésinger dovette correggerlo in “Donna morsa da un serpente” con tanto di aggiunta tardiva di un piccolo serpente. Evidentemente, l’estasi di un sogno d’amore era considerato un tema di pessimo gusto.
Si vergogni Monsieur Clésinger! Ci scolpisca una bella agonia piuttosto!
Poi è la volta di Rêverie di Henri Fantin-Latour (1836-1904) dai contorni vaghi e incerti, come il sogno che il titolo annuncia. Un curioso, incantato silenzio avvolge il dipinto, anche nel mezzo in una sala affollata.
Ma ecco una sognatrice meno eterea e più stordita che assopita: La Rêveuse di James Tissot, tipico prodotto della sfrenata Belle Époque, un’epoca di feste, balli, opulenza e ostentazione… la bella vita borghese poteva stancare parecchio, a quanto pare!
Infine non potevo che terminare con Lei, la Bellezza incarnata nel suo archetipo più noto, colta nel momento della sua stessa creazione: Venere. Questo è, senza dubbio, il dettaglio più conturbante di tutta la composizione della Nascita di Venere di Alexandre Cabanel (1863), ossia lo sguardo della dea, femminilità appena generata eppure pienamente consapevole della propria natura, uno sguardo che si indovina appena tra le ombre del volto e che pure ha il potere di costringere qualunque passante, anche il più frettoloso e distratto, a una sosta conturbante. Provare per credere.