L’inafferrabile arte di Jean-Jacques Henner
Le eleganti palazzine della piana Monceau, su cui si sviluppa il bel parco che ne prende il nome (XVII arrondissement), hanno molte storie da raccontare. La prima riguarda la loro stessa costruzione, avvenuta durante l’espansione verso ovest della Ville Lumière a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
A quel tempo, il quartiere in cui ci troviamo era quasi esclusivamente residenziale, nuovissimo e aggiornato al gusto eclettico dell’epoca, pertanto venne immediatamente invaso dalla ricca borghesia cittadina, seguita a ruota dagli artisti più alla moda e di successo, in grado di versare gli ingenti affitti.
Il Musée National Jean-Jacques Henner (43, avenue de Villiers, XVII arrondissement) è un piccolo gioiello, così come lo scrigno che lo contiene, una palazzina perfettamente in linea con l’epoca che la vide sorgere, la famosa Belle Époque – più precisamente tra il 1876 e il 1878.
Questo cosiddetto hôtel particulier rappresenta una testimonianza dell’architettura privata in stile eclettico tipico della Belle Époque. Fu disegnata dall’architetto Nicolas-Félix Escalier, dettaglio non secondario se si pensa che Escalier fu l’autore del progetto di un’altra palazzina che sorge proprio nella strada accanto (35, rue Fortuny), la quale fu di proprietà nientemeno che dalla “Divina” Sarah Bernhardt – la stella del teatro francese dai gusti a dir poco stravaganti di cui abbiamo già parlato – ma torniamo a noi.
Questo luogo era già votato all’arte prima di venire trasformato in un museo: l’artista-decoratore Guillaume Dubufe (1853-1909) lo occupò e lo ampliò secondo le sue esigenze (aggiunse un atelier al terzo piano, in cui oggi son esposte le opere di Henner). Nel 1921, Marie Henner, vedova del nipote del pittore Jean-Jacques Henner (1829-1905), acquistò la palazzina dagli eredi di Dubufe per esporvi le opere di suo zio, facendo poi dono del museo allo Stato.
Spesso questo museo rimane escluso dai circuiti turistici più popolari, ma in questo blog non poteva mancare una menzione speciale a Jean-Jacques Henner, il pittore di creature al confine tra mondo reale e quello immateriale. I paesaggi di Henner, così come i suoi ritratti, sono caratterizzati dalla predominanza dello sfumato, una tecnica sapientemente impiegata per conferire ai soggetti una sorta di incorporeità, come se emergessero dalle brume di un sogno.
La delicatezza e la luce originalissima dei suoi ritratti, valsero a Henner un certo successo presso gli ambienti borghesi parigini, assetati di riconoscimenti e desiderosi di immortalare la propria immagine, esattamente come era d’uso fare presso l’antica nobiltà.
Uno di quelli più conturbanti – quello di Madame Paul Duchesne-Fournet – non fa parte della collezione del museo parigino e lo incontrai per caso nelle gallerie del LACMA di Los Angeles. L’opera venne ultimata in appena dieci sedute di posa per l’esorbitante cifra di 10 000 franchi, corrispondenti a ben oltre i 30 000 euro attuali.
Nei suoi ritratti, Henner impiega sapientemente le ombre dello sfondo e la sua tavolozza dominata dai toni rossastri per accendere il pallore dell’incarnato, una caratteristica che agli occhi dei contemporanei conferiva una spiccata sensualità e che oggi lascia ammutoliti, come in presenza di una misteriosa, eterea apparizione.
Mantenendosi ai margini di tutte le rivoluzioni artistiche della sua epoca, Henner rimase un artista solitario, un ricercatore guidato dalla sua personalissima inclinazione volta a rappresentare le presenze sottili della natura, presenze essenzialmente femminili, pallide, dalle chiome o dalle vesti rossastre.
Nei tempi antichi le acque dolci erano considerate sacre, inviolabili e pertanto affidate a custodi sovrannaturali: le Naiadi o Ninfe. A un passo dalle letali sirene marine della tradizione omerica, le Naiadi di Henner sono state modellate dalla luce e dalle ombre di una natura inquietante, sensuale, irresistibile. Chi ha detto che gli spiriti sono inafferrabili? L’arte di Henner sa invocarli e plasmarli sulla tela, lasciandoli sospesi, sfumati, non ancora carne ma già usciti dal regno del sogno.
Le sue Naiadi potrebbero essere considerate nostalgie di una natura senza padroni? Henner temeva l’avanzata inarrestabile dell’era industriale come molti altri artisti suoi contemporanei?
Avendo frequentato gli ambienti impressionisti, è facile immaginare che il pittore abbia dibattuto il tema di frequente, considerato che il ruolo dell’artista nei confronti della Natura era uno delle problematiche salienti dell’epoca, assieme al distacco dai precetti dell’arte ufficiale – detta “accademica”. Tuttavia, ripeto per maggiore chiarezza: Henner non si mescolò mai completamente al movimento che stava rivoluzionando l’arte del XIX secolo, semmai lo affiancò.
Per quanto riguarda la concezione della Natura, oserei affermare che Henner non temesse più di tanto l’avanzare della fredda tecnologia e del progresso. Nei suoi quadri abitano creature che paiono sorridere dei nuovi Dei del futuro, come se Henner percepisse potenze primordiali che nemmeno tutte le industrie del mondo potrebbero mai annientare, o controllare.
Se capitate a passeggio tra le eleganti palazzine del XVII arrondissement, concedetevi un passaggio in questo anfratto delizioso, tranquillo, abitato da creature di altre dimensioni e decisamente fuori dal tempo. Buona visita!