Alphonse Mucha e la notte di Natale dell’Art Nouveau
Questi sono i primi passi di uno dei padri fondatori dell’Art Nouveau, un movimento comunemente associato alla storia della Ville Lumière, ma che deve la sua origine a uno straniero.
Nel 1887, Alphonse Mucha (1860-1939), originario della Moravia, non era che uno dei tanti studenti giunti dall’estero a Parigi per approfondire lo studio dell’arte.
La comunità artistica dell’epoca era vivace e sapeva distinguersi per i suoi atti di generosità. Alphonse Mucha stesso, per qualche anno, condivise il suo atelier della rue de la Grande-Chaumière (VI arrondissement) con un collega artista, tanto brillante quanto squattrinato, Paul Gaugin (1848-1903).
In mancanza di moneta sonante, Gaugin si offrì in cambio di fare a Mucha da modello… a volte anche solo per divertirsi, pourquoi-pas?
Per guadagnarsi da vivere, Alphonse Mucha iniziò a lavorare come illustratore e tutto parve scorrere più o meno tranquillamente, fino alla fatidica notte – degna di un racconto di Charles Dickens – che avrebbe cambiato la sua vita.
Si era intorno alla vigilia di Natale 1894. Alphonse, allora trentacinquenne, stava ultimando un lavoro presso il tipografo Lemercier quando, come un fulmine a ciel sereno, giunse una commissione urgente da parte della celeberrima commediante Sarah Bernhardt.
Madame Bernhardt ordinava una nuova locandina da poter diffondere in tutta Parigi il 1ˆ gennaio: di lì a pochi giorni sarebbe andata in scena la centesima replica del dramma Gismonda. Il panico si diffuse in un attimo alla tipografia Lemercier!
Rifiutare qualcosa a “La Divina” era fuori questione, ma si era ormai sotto Natale e i disegnatori della tipografia erano assenti o irreperibili. A chi affidare dunque la commissione?
A parte Mucha, non era rimasta molta altra scelta. L’illustratore straniero era preciso e affidabile, ma non aveva la minima idea di come dovesse essere progettato e realizzato un manifesto, tantomeno una locandina!
Alphonse ebbe l’ardire di accettare e alla tipografia Lemercier si tennero le dita incrociate.
«Oh che bello! D’ora in avanti lavorerete per me, vicino a me. Vi amo già!»
Con questa dichiarazione, La Divina siglò il successo di Alphonse Mucha.
In quella locandina, Sarah Bernhardt, nota pioniera della réclame, individuò il potenziale espressivo di uno stile nuovo a cui associare la propria immagine. La valutazione si rivelò azzeccata, anche più del previsto: alcuni passanti, imbattutisi nella nuova locandina, tentarono di staccarla per portarsela a casa!
Mucha firmò con Sarah un contratto di sei anni. Per lei avrebbe disegnato non solo locandine, ma anche scenografie, costumi, gioielli di scena…
Per le locandine seguenti, Mucha ripropose la composizione innovativa di Gismonda: verticale, con la figura dell’attrice in piedi circondata da una nicchia, un po’ come le statue dei santi nelle chiese. Il volto di Sarah, vero fulcro dell’immagine, venne fissato nelle espressioni più rappresentative del personaggio.
Nacque così lo “stile Mucha”, caratterizzato da una gamma sottile di toni pastello diffusi tra linee sinuose, arabeschi, giovani femmes fatales più simili a icone che a donne reali. E poi motivi floreali, naturali, simboli ornamentali tratti dalla tradizione celtica, giapponese, islamica, rococò, ma soprattutto bizantina, la culla della sua amata civiltà slava.
Considerate per un momento che, mentre noi oggi associamo automaticamente l’arte di Mucha alla Francia e ai fasti della Belle Époque parigina, al tempo in cui fece la sua apparizione, i francesi la percepirono piuttosto “esotica”, originaria di un oriente lontano.
Benché non fosse mai stato esplicito nelle sue intenzioni, Mucha contribuì in maniera determinante a sviluppare e a diffondere il movimento che stava emergendo proprio allora nel campo delle arti decorative: l’Art nouveau (‘Arte nuova’), una reazione artistica alla monotonia – e alla bruttezza – dell’incalzante produzione industriale.
Ogni dettaglio delle composizioni di Mucha è un simbolo e ogni scelta è ponderata. Gli occhi dei parigini del tempo coglievano molto più dei nostri, ormai assuefatti dalla vivacità dei colori di pubblicità, televisione e riviste patinate.
Il manifesto –o affiche – conosceva in quegli anni la sua epoca d’oro, grazie allo sviluppo della litografia a colori. Lo stile di Mucha rivoluzionò il settore, dettandone i codici espressivi.
Sarah Bernhardt aveva avviato il successo di Mucha, la pubblicità ne fece una celebrità a tutto tondo.
Pittore, scultore, fotografo, decoratore… Alphonse Mucha lavorò su numerosi fronti, dal teatro alla pubblicità, dall’editoria al design di interni, di gioielli, di costumi… dodici anni di febbrile attività parigina!
Mucha non lavorava solo su commissione. Per sua iniziativa personale, realizzò settantadue tavole illustrate che andarono a costituire l’opera intitolata Documents decoratifs (1902), un meraviglioso manuale impiegato nelle scuole d’arte europee, ma indirizzato a tutti i professionisti delle Arti decorative (artigiani, decoratori…).
All’interno, viene illustrato il processo di “stilizzazione”, che parte da studi realistici “dal vivo” e termina nella produzione di motivi decorativi da applicare nelle manifatture.
Quest’opera impressionante è una prova materiale della profonda convinzione di Mucha che la decorazione artistica dovesse essere messa al servizio della società.
Spesso associato agli ambienti di lusso parigino, Alphonse non avrebbe tollerato d’essere ritenuto un artista “superficiale” o puramente “decorativo’’.
Per lui gli affiches – ad esempio – erano un mezzo nuovo che consentiva di offrire l’arte e i suoi messaggi al grande pubblico, privandola di quell’alone di esclusività che l’aveva destinata sempre e solo a ristrette classi sociali.
«Non avevo trovato una vera soddisfazione in questo genere di lavoro [decorativo]. La mia via mi pareva essere altrove, in qualcosa di più elevato».
Alphonse Mucha
Nei primi anni del XX secolo, il bisogno di realizzare la sua “missione” divenne impellente. Mucha desiderava contribuire, con la propria arte, al sogno d’indipendenza del popolo ceco dall’impero austroungarico e a quello dell’unione di tutti i paesi slavi.
Per questa ragione, Mucha rientrò in patria, abbandonando la vena decorativa in favore di cicli di pittura storici, epici, spesso di grande formato, intrisi di idealismo e spirito militante.
Nei suoi ultimi anni, Mucha portò avanti la ferma convinzione che l’arte dovesse avere una funzione salvifica per l’umanità, così come la bellezza, una potenza in grado di toccare – e di curare – la sensibilità del grande pubblico.
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