Il favoloso castello di Alexandre Dumas, “miniatura del paradiso terrestre”
Alexandre Dumas (1803-1870) è ricordato soprattutto per averci lasciato romanzi eccezionali quali “I tre Moschettieri” o “Il Conte di Montecristo”, ma le pagine pubblicate a suo nome si aggirano attorno alle 100.000!
Un dandy amante della vita mondana e delle donne (molte donne!), uomo di lettere, drammaturgo, ottimo cuoco e viaggiatore instancabile… Alexandre Dumas fu ognuna di queste cose, ma oggi consideriamo un aspetto meno noto della sua personalità, quello visionario.
Il suo bel castello, nei pressi di Saint-Germain-en-Laye, è un monumento alla sua sconfinata immaginazione.
Sulle prime, l’architetto che Dumas interpellò per la realizzazione del progetto – nientemeno che Hippolyte Durand, lo stesso che realizzò la celebre basilica di Lourdes – trovò l’impresa completamente folle:
«Ma, Monsieur Dumas, questo progetto vi verrà a costare diverse centinaia di migliaia di franchi».
«Lo spero bene!»
Diamo ora un’occhiata più da vicino a questo scrittore sprezzante del denaro – che spendeva in modo sconsiderato – ma anche delle convenzioni e dei pregiudizi sociali.
«È come Dumas che cammina sopra a tutto, che è sempre trasandato e che si crede al di sopra di tutto ciò che il mondo è abituato a rispettare».
Eugène Delacroix
(1853)
Chioma crespa, pelle olivastra, occhi blu: appena ventenne, Alexandre raggiunse Parigi in cerca di avventure. All’epoca non era che un giovane copista, ma la sua sfrenata ambizione lo spinse ben presto a cercare di più.
Alexandre era cresciuto nel mito del padre, generale dell’esercito napoleonico noto per il suo coraggio e la sua integrità, che perse alla tenera età di quattro anni. Il suo esempio ispirò non solamente la vita del romanziere, ma molti dei personaggi che popolano i suoi scritti.
Dumas si riteneva figlio di un eroe che per di più aveva il colore di pelle “sbagliato”, secondo la visione dell’epoca. Il padre di Alexandre era in effetti mulatto, essendo figlio di una schiava delle colonie di nome Cosette Du-Mas (‘della fattoria’).
Non è difficile immaginare a quali mortificazioni il giovane Alexandre possa esser stato sottoposto nei salotti parigini, proprio per via di quei tratti somatici ereditati dal suo eroe personale. Ebbene, uno spirito brillante non teme la battaglia, men che meno quella verbale, ed infatti ecco un esempio dei suoi famosi affondi:
«In effetti, caro Maestro, voi dovete intendervene di negri», gli venne detto una volta.
«Ma certamente: mio padre era mulatto, mio nonno un negro e il mio bisnonno una scimmia. Come vedete, Monsieur, la mia famiglia comincia là dove finisce la vostra».
Alexandre iniziò scrivendo per il teatro, ma si affermò in seguito come maestro del nuovo genere letterario che spopolava nella Parigi del XIX secolo: il feuilleton, ossia il romanzo popolare di appendice che usciva a puntate sui giornali.
Nel pieno del suo successo, all’età di 42 anni, Alexandre Dumas decise di realizzare il suo sogno più grande, la sua “miniatura del paradiso terrestre”: un castello in stile neo-rinascimentale con annesso cabinet di scrittura neo-gotico nella campagna attorno a Parigi(1847).
La fantasia dell’epoca indugiava spesso su epoche passate romanzando e ingentilendo la realtà storica, la quale ne usciva distorta, quasi fiabesca, ma che volete? Si era nel pieno del Romanticismo: la nostalgia d’altri tempi era di moda!
Tutt’attorno al castello, sorse per l’appunto un romantico parco all’inglese, che grazie all’imprevedibile intrico di ombrosi sentieri, di grotte, di edera e ruscelli inganna il visitatore, facendogli volutamente perdere l’orientamento.
Una volta usciti dal bosco, ci si imbatte nella vista mozzafiato delle ricche facciate del castello interamente ricoperte di stucchi. La decorazione è ispirata allo stile “grottesco” del Rinascimento italiano, allora tornato di moda.
Dumas volle che all’esterno del suo castello fossero rappresentati i ritratti degli scrittori che più ammirava, tra cui se stesso bien-sûr!
Lo troverete ad accogliervi sulla porta di ingresso, assieme al monogramma composto dalle sue iniziali che svetta fiero sul tetto, come quello di un re. So cosa state pensando ma d’altra parte, senza qualche mania di grandezza, Dumas non sarebbe stato… beh, Dumas!
Il padrone di casa riceveva moltissimi ospiti e nel suo castello era un via-vai continuo, soprattutto allorché Monsieur Dumas si metteva ai fornelli. La sua passione per la cucina era ben nota, talmente sentita che l’ultima delle sue opere fu per l’appunto un dizionario di cucina.
La gente dei dintorni ribattezzò ben presto il castello con il nome “di Monte-Cristo”, non solo in onore al genio del proprietario, ma anche per il suo aspetto fiabesco, le cui sale sussurrano storie e avventure, soprattutto il mitico salone moresco del primo piano, un gioiello firmato da artigiani provenienti da Tunisi.
Ancora inebriato dal suo ultimo viaggio, che lo aveva portato ad esplorare prima la Spagna e poi le coste del Nord Africa fino a Tunisi (1846), Alexandre Dumas desiderava ardentemente portare un po’delle atmosfere che aveva incontrato a casa propria. Missione compiuta, direi.
Il castello è oggi un museo dedicato al padrone del castello il quale, a dirla tutta, poté goderselo solo qualche anno a causa degli immensi debiti che aveva accumulato. La perdita della sua “miniatura del paradiso terrestre” fu un duro colpo per lo scrittore.
L’angolo più “sacro” – e dunque la perdita più sentita – era costituito dall’amato cabinet de travail, detto “Château d’If” in onore di uno dei luoghi chiave del suo capolavoro, “Il Conte di Montecristo”. Tra queste mura tranquille, Dumas si ritirava per lavorare indisturbato.
Sulla facciata del cabinet sono incisi 88 titoli delle opere dello scrittore, assieme ai nomi di alcuni dei personaggi più celebri.
Dumas lavorava secondo rituali precisi. Il primo passo era l’isolamento, che creava l’atmosfera favorevole alla sua immaginazione. Non a caso, attorno al cabinet, un corso d’acqua mormora gentile e fa giocare i suoi riflessi contro i vetri.
Il secondo elemento chiave era rappresentato dagli strumenti di lavoro. Dumas scriveva su precise tipologie di carta ed esclusivamente con determinate penne, ciascuna delle quali era destinata a un preciso genere letterario: una per i romanzi, una per gli articoli di giornale, una per il teatro, ecc. Inoltre, chissà perché, detestava l’inchiostro blu e trovava impossibile impiegarlo persino per scrivere il proprio indirizzo.
Per gli ammiratori della sua opera o per chi cercasse una gita alternativa fuori Parigi, il castello di Monte-Cristo è una splendida idea e ha bisogno del sostegno di ogni visitatore per mantenere aperte le sue porte (trovate il sito qui).
Buona esplorazione e buona lettura!