La Porta dell’Inferno di Rodin: la disperazione narrata da Dante e da Baudelaire
La Porta dell’Inferno di Auguste Rodin (1840-1917) ha molte cose da raccontare, prima di tutto sul suo autore.
Destinata a fungere da ingresso al nuovo – mai realizzato – museo delle Arti decorative, la Porta rappresentava la prima grande commissione da parte dello Stato (1880), un’occasione unica, considerato che Rodin allora aveva quarant’anni ed era ancora lontano dal successo.
La decorazione avrebbe dovuto consistere in bassorilievi raffiguranti la Divina Commedia e non è improbabile che il tema sia stato suggerito dallo stesso Rodin, che era rimasto rapito dalla lettura del capolavoro di Dante Alighieri, in particolar modo dall’“Inferno”. La Porta avrebbe dovuto essere un’opera d’ispirazione tutta italiana, visto che il modello a cui lo scultore decise di ispirarsi per la decorazione erano le splendide porte del battistero di Firenze (Ghiberti, XV secolo). Lo scultore si mise febbrilmente al lavoro, l’avventura era appena iniziata.
Dopo quattro anni di lavoro, Rodin sembrava aver trovato finalmente una versione soddisfacente della Porta, ma grazie alla ben nota “fortuna” degli artisti emergenti proprio allora lo scultore ricevette la notizia che il progetto del museo era stato abbandonato. «Tanto peggio per loro», pensò Rodin che non era il tipo da farsi abbattere, e «tanto meglio per noi», aggiungerei io e vi spiego perché.
La Porta dell’Inferno non venne abbandonata anzi, divenne una sorta di riserva creativa personale in cui Rodin sperimentò innumerevoli possibili assemblaggi di decine e decine di gruppi scultorei. Nel corso di dieci anni di studio, lavoro, prove e rinunce, come in una moderna versione della leggenda di Pigmalione (lo scultore di Cipro innamorato a tal punto di una sua scultura femminile che la dea Afrodite, commossa, le concesse la vita), alcune di queste figure si affrancarono dalla Porta guadagnandosi la dignità di opere autonome. Ciò avvenne ad esempio per “Il Bacio”, una versione a sé stante della celebre e tragica coppia composta da Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, o “il Pensatore”, l’evoluzione della figura del Poeta che troneggia in cima alla Porta dell’Inferno, ossia Dante Alighieri.
Se la Porta potesse parlarci del suo autore, ci racconterebbe senz’altro del suo inarrestabile impulso creativo e della sua irrequietezza, che gli impediva sistematicamente di apporre la parola “FINE” alla sua opera. Più il tempo passava, più il lavoro avanzava e più Rodin modificava la composizione, avvicinandosi in qualche modo alla condizione tormentata dei dannati che scolpiva.
Gradualmente, il progetto della Porta si allontanò sempre più dalle tradizionali rappresentazioni dell’“Inferno” della Commedia per diventare qualcos’altro. Un’influenza nuova segnò radicalmente la visione di Rodin che era stato incaricato, nel 1887, di illustrare un’edizione originale de Les Fluers du Mal (‘I Fiori del Male’, 1857) di Charles Baudelaire (1821-1867).
Ai versi di Dante si andarono a mescolare le immagini cupe e struggenti suggerite da quelli del celebre poeta francese, deceduto vent’anni prima. I dannati, privati di un contesto definito, senza evidenti allusioni ai classici tormenti danteschi o ai demoni torturatori, si trasformarono lentamente in pure rappresentazioni della disperazione, in una parola, in archetipi.
A sei anni dalla commissione, le sculture che si erano affrancate dalla Porta vennero esposte nella galleria George Petit con una disposizione inedita e sorprendente, in cui ogni pezzo era accompagnato proprio dagli splendidi versi de Les Fluers du Mal. Le sculture si erano trasformate in rappresentazioni materiali della poesia sensuale, intima e universale allo stesso tempo, di Charles Baudelaire, allontanandosi dal tradizionale modello dantesco.
Parallelamente, anche le figure della Porta si erano affrancate dal progetto originale per narrare la condizione umana, le sue miserie, le paure, le passioni, diventando un groviglio di spettri che sono semplicemente quel che sono, senza prospettive morali. L’inferno di Dante aveva abbandonato il regno dei demoni per calarsi in quello dell’Uomo.
Una versione della Porta dell’Inferno venne finalmente esposta al pubblico solo nel 1900, in occasione dell’Esposizione universale, ma la questione si era rivelata più complicata del previsto, visto che lo scultore, come ho già detto, non era tipo da ritenersi mai soddisfatto. Raggiunta finalmente la versione – in teoria – definitiva, all’ultimo momento Rodin trovò che la Porta fosse improponibile, con un insieme troppo carico, le ombre troppo intense e così decise di eliminare le figure più in rilievo. L’opera venne sì esposta, ma incompleta, in quanto non c’era stato tempo sufficiente a modificarla per intero.
Per avere un’idea della versione più ricca a cui Rodin era giunto, un attimo prima di quelle ultime modifiche, bisogna riferirsi al modello in gesso conservato al Musée d’Orsay e che venne pur tuttavia realizzato solo nel 1917, lo stesso anno della morte dello scultore.
Su modello di questo gesso, la porta esposta nei giardini del Musée Rodin venne fusa in bronzo tra il 1926 e il 1929 ed è oggi ammirabile gratuitamente.
Se potete, prendetevi il tempo di una meditazione davanti alla Porta. Le sue figure avvinghiate, distese, rannicchiate, contorte e sinuose sono ben lontano dall’ispirare la paura della dannazione eterna e spingono invece alla compassione, attraverso i mille volti del dolore, del tormento e della disperazione della condizione umana.