La piccola storia del Tempio dell’Amore di Maria Antonietta
Il Tempio dell’Amore spicca tra le linee sinuose del giardino all’inglese del Petit Trianon.
Ho visitato spesso questo rifugio idilliaco dove la regina Marie-Antoinette ritrovava una dimensione privata resa impossibile dalla vita di corte. Questa volta ho deciso di spendere due parole sul Tempio perché ho un debole per tutto ciò che nella storia ha fatto discutere, in questo caso non ai tempi della regina, bensì vent’anni prima del suo arrivo a corte.
Il Tempio dell’Amore è ben più di una delizia per gli occhi: è la testimonianza di come i tempi e il gusto possano cambiare nel corso degli anni. Ecco la riflessione che ho raccolto.
Dalle finestre dello château del Petit Trianon, Marie-Antoinette poté ammirare il suo nuovo giardino prendere forma. I viali tortuosi, i ruscelli, i prati immacolati e i boschetti rispondevano al gusto moderno del paesaggio alla fine del Settecento, in cui la natura veniva lasciata – almeno in apparenza – libera di svilupparsi.
(Per conoscere meglio il gusto idilliaco-campestre diffusosi in quegli anni vedi La Moda di racconta: la quiete prima della tempesta)
Il tempio comparve su un isolotto al centro di uno stagno nel 1778, circa due anni dopo l’inizio dei lavori per il nuovo giardino all’inglese.
Il progetto architettonico, firmato dallo scultore Deschamps, fu un vero coup de coeur (‘colpo di fulmine’) per Marie-Antoinette la quale, una volta tanto, non ritenne necessaria alcuna modifica.
Il gruppo scultoreo che doveva essere ospitato nel tempio secondo lo stesso progetto, invece, venne rifiutato.
Marie-Antoinette richiese la copia di un capolavoro di Bouchardon risalente a quasi trent’anni prima, intitolato “L’Amore intaglia un arco nella clava di Ercole” (1750).
L’opera aveva suscitato non poco scalpore al suo tempo presso la corte, ma i gusti erano evidentemente cambiati.
La copia fu commissionata dalla regina a Louis-Philippe Mouchy che, per poterla realizzare, fece trasportare l’originale, dal castello di Choisy dove si trovava, alla sala des Antiques del Louvre. Ed è lì che ancora oggi possiamo ammirarlo, nella sezione di scultura francese del XVIII secolo.
Edme Bouchardon (1698-1762), Scultore del Re dal 1732, presentò “L’Amore intaglia un arco nella clava di Ercole” a Versailles dopo cinque anni di intenso lavoro. Qualcosa allora andò per il verso sbagliato.
Il re di allora Louis XV, e con lui la corte, non apprezzarono per niente lo stile con cui la scultura era stata realizzata.
Per comprendere la reazione, consiglio di ammirare l’opera di Bouchardon nella sua collocazione attuale al Louvre, dove i capolavori dei colleghi suoi contemporanei, fedeli al gusto dell’epoca, la circondano. La sua originalità si rivela così anche all’occhio odierno.
La composizione si articola attorno a un movimento a spirale che invita l’osservatore a compiere un giro completo, una novità per l’epoca in cui normalmente si prevedeva un’angolazione privilegiata.
L’Amore di Bouchardon è realizzato con la medesima cura in ogni sua parte. La scelta è sensata: la scultura avrebbe dovuto figurare al centro del Salone d’Ercole a Versailles e dunque venire osservata a 360 gradi.
Il giro che l’artista invita a compiere attorno alla statua permette di cogliere tutti i dettagli della storia che intendeva raccontare: proviamo a leggerla.
Attorno al corpo di un adolescente, sono raccolti degli attrezzi da lavoro, un elmo, i resti di una clava, una corda… L’Amore-ragazzino si è impadronito chissà come degli attributi del possente Ercole, tra cui è ben riconoscibile la leggendaria pelle di leone! L’espressione maliziosa di Amore non lascia presagire nulla di buono e se devo dirla tutta, più che un dio dell’Antichità, mi ricorda Peter Pan.
Il giovane sta convertendo la clava dell’eroe, simbolo della forza virile, in un arco che ben conosciamo, per via dei problemi che creerà nella storia dell’uomo.
Come un semplice intagliatore, Amore è immortalato nel momento in cui sta testando l’elasticità della sua arma.
Il contrasto creato dall’accostamento della clava e dell’arco, cioè tra una sagoma tozza, grezza e una esile, slanciata, levigata, è il fulcro narrativo dell’opera, o la morale della storia se preferite.
Amore sorride perché è consapevole della sua vittoria sulla forza bruta. Attraverso armi più sottili, infligge danni anche peggiori…
Purtroppo per Bouchardon, un Dio dell’Amore non fisicamente idealizzato e intento a sporcarsi le mani con un lavoro manuale, tipico delle fasce popolari, non poteva incontrare il favore di un ambiente classista come la corte di Louis XV.
Per di più, il realismo con cui aveva realizzato il corpo gracile e disarmonico di un adolescente, in cui alcune parti si sviluppano prima di altre, venne percepito quasi offensivo per il senso estetico comune.
I cortigiani, abituati a un dio dell’Amore paffutello e perfetto, denigrarono il corpo sgraziato del giovane e lo assimilarono ad un “portefaix” (‘facchino’). A riconoscere il valore dell’opera furono pochi artisti e qualche cultore delle arti, tra cui la favorita reale, la colta Madame de Pompadour.
Nel 1752 l’Amore venne “degradato” e passò così da Versailles al castello reale di Choisy. Col passare degli anni, il gusto cambiò e l’Amore di Bouchardon venne riconosciuto come capolavoro della scultura francese, al punto che la Manifattura di Sèvres ne produsse delle repliche in scala ridotta in biscotto di porcellana a partire dal 1768 e la regina Marie-Antoinette, come abbiamo visto, ne commissionò una copia per il suo Tempio dell’Amore al Petit Trianon, contribuendo ad accrescere il suo successo.
Questo è il mio omaggio al sorriso di Amore, che più che far riflettere sulla potenza sottile di questa forza universale, ammonisce: guardati dall’ostilità che solleva tutto ciò che è nuovo.
(Se vi interessano altre storie su questo luogo che fu un pezzo d’anima di Marie-Antoinette, leggete del suo teatro in questo articolo)