Il processo a Marie-Antoinette, ex-regina di Francia
Agosto 1793
La deposta regina di Francia, Marie-Antoinette, viene trasferita dalla prigione del Tempio a quella della Conciergerie.
La donna che varca la soglia non è più regina, né moglie – solo vedova, “la vedova Capet”, dopo l’esecuzione del re Louis XVI. Marie-Antoinette non è che madre, ma i suoi figli sono rimasti al Tempio.
Settembre 1793
La tensione a Parigi è altissima.
Le truppe nemiche avanzavano inesorabili verso la città e dichiarano la ferma intenzione di soffocare la Rivoluzione nel sangue. Il popolo trema.
Ad ogni angolo si bisbiglia di complotti volti a liberare i contro-rivoluzionari rinchiusi nelle carceri. “Verranno a sgozzarci nel sonno”, si dice. Il governo rivoluzionario teme di assistere a una replica dei massacri di settembre dell’anno precedente.
Un ultimo tentativo di liberare la ex-regina – sventato a l’ultimo – scatena il terrore e la furia dei cittadini.
Ottobre 1793
Alla Convenzione, l’avvocato Billaud-Varenne si fa portavoce della proposta di liberarsi del problema una volta per tutte:
«Una donna, vergogna dell’umanità e del suo sesso, la vedova Capeto, deve infine espiare le sue colpe sul patibolo»
Soprattutto, non dimentichiamolo, al governo urgeva un capro espiatorio per calmare gli animi.
Marie-Antoinette aveva attirato su di sé un odio covato per secoli, figlio della miseria, delle guerre, dei soprusi e delle ingiustizie patite dal popolo, un odio che, una volta scatenato – se ne aveva avuta una chiara dimostrazione l’anno precedente – era fuori da ogni controllo.
Pochi giorni prima, un medico era stato incaricato di valutare lo stato di salute della prigioniera. La diagnosi non era incoraggiante: Marie-Antoniette non sarebbe sopravvissuta a lungo, viste le frequenti emorragie di cui soffriva da tempo. Gli storici ipotizzano che si trattasse di un tumore all’utero all’ultimo stadio.
Il tempo stringe. Marie-Antoinette non va giudicata, ma condannata.
L’inizio del processo viene fissato per il 14 ottobre.
I difensori d’ufficio designati sono Tronson du Courday e Chauveau-Lagarde (il protagonista di questa serie di articoli).
I due avvocati si conoscono bene, ma non avranno tempo per organizzare una vera difesa.
Lagarde si trova in campagna fuori Parigi, quando gli viene comunicato che, l’indomani mattina alle otto, i dibattiti sarebbero cominciati. Nessuna fretta, insomma!
Come abbiamo visto in occasione del processo alla bella Charlotte Corday, Lagarde si era già imbattuto nei “modi” del Tribunale rivoluzionario che avrebbe giudicato la ex-sovrana. Sa cosa aspettarsi e non perde altro tempo.
Si precipita a Parigi per incontrare Marie-Antoinette nella sua cella alla Conciergerie.
La situazione è per lui delicatissima: esporsi per “l’Austriaca” rappresentava un rischio enorme, ma a Lagarde il coraggio – bisogna riconoscerlo – non mancava.
Beh, forse un pochino gli mancò nel leggere l’atto d’accusa: cospirazione contro la libertà del popolo francese, dilapidazione dei beni pubblici, spionaggio ai danni della Nazione…
Le accuse erano gravissime, la mole di lavoro impressionante.
Lagarde propone allora a Marie-Antoinette di richiedere formalmente un rinvio di almeno tre giorni dell’inizio del processo. Non si illudeva di poterlo ottenere, ma la firma della regina avrebbe avuto forse maggior peso della sua…
«A chi dovrebbe essere indirizzata la richiesta?», domanda Marie-Antoinette.
Lagarde abbassa lo sguardo: «Alla Convenzione».
La fiera figlia di Maria Teresa d’Asburgo esplode allora in tutta la sua indignazione: «No, no, mai!».
L’idea di piegarsi a chiedere qualcosa a coloro che riteneva essere i suoi peggiori nemici, i carnefici della sua famiglia, i responsabili di ogni sua sventura – sarebbe a dire i deputati della Convenzione nazionale – è inaccettabile.
Lagarde, però, è abile con le parole e riesce infine a convincerla. Come? Precisando che la domanda andava redatta a nome dei suoi difensori – non suo – e che occorreva considerare anche le persone che sarebbero state coinvolte dall’esito del processo, come i suoi figli, i cognati, gli amici rimasti fedeli…
Touchée!
La regina cede, ma la famosa domanda non raggiunse mai la Convenzione: fu ritrovata anni dopo, tra le carte di Robespierre.
L’indomani mattina, Marie-Antoinette percorre il corridoio che separa la sua cella dalla sala dove si riunisce il Tribunale rivoluzionario.
Lagarde si trova ancora una volta di fronte al suo avversario numero uno, il temutissimo accusatore pubblico del Tribunale, Fouquer-Tinville.
Dopo aver ascoltato i testimoni (quarantuno in due giorni!), i difensori di Marie-Antoinette si rassicurano un po’: nessuno di questi aveva portato alcunché di sostanziale a sostegno delle accuse.
Consapevole dell’inconsistenza delle prove a disposizione, uno degli accusatori, l’implacabile Hébert, ha l’infelice idea di aggiungere un’ulteriore imputazione a quelle già discusse, onde spazzare via ogni traccia d’umanità dalla figura di Marie-Antoinette: l’incesto con il figlio Louis di circa sette anni.
Come prova, viene mostrata una confessione scritta e firmata dal bambino, che allora era rinchiuso nella prigione del Tempio. Il documento è redatto con una grafia tremante ed incerta, molto diversa da quella abituale del piccolo.
Ciò fece supporre agli storici che Louis non dovesse essere in possesso delle sue facoltà e che si fosse trovato sotto l’effetto di qualche sostanza, forse di alcolici.
In un primo momento Marie-Antoinette tace, lo sguardo come svuotato.
Poi, sollecitata a rispondere, esplode in tutto il suo sdegno:
«Se non ho risposto, è perchè la natura stessa si rifiuta di rispondere a una tale accusa mossa ad una madre. Mi appello a tutte quelle che possono trovarsi qui!»
Hébert si rende conto d’aver ottenuto l’effetto contrario a quello atteso. Le proteste contro la disgustosa accusa dividono pericolosamente l’opinione della sala:
«Guarda com’è fiera!», esclama qualcuno. La seduta viene sospesa.
Nonostante questo fortunato coup de théâtre, la situazione rimane in bilico.
Terminati i dibattiti (dopo tredici ore di udienza!), a Lagarde e Coudray vengono concessi ben quindici minuti per organizzare la loro arringa finale. Nessuna fretta, ancora una volta!
I due hanno appena il tempo di dividersi i capi di accusa: Lagarde si sarebbe occupato dell’accusa di cospirazione con i nemici stranieri, Coudray della cospirazione cosiddetta “interna” al Paese.
I due avvocati parlano – in gran parte improvvisando – per tre lunghe ore, durante le quali i capi d’accusa vengono respinti uno ad uno per mancanza di prove.
«…nulla può eguagliare l’apparente gravità dell’accusa, se non forse la ridicola nullità delle prove».
Lagarde,
dalla difesa di Marie-Antoinette.
Lagarde, se non può essere certo della totale innocenza di Marie-Antoinette, sa di avere ragione: i capi d’accusa sono a quella data indimostrabili.
Per questa ragione il verdetto di colpevolezza, pronunciato alle quattro del mattino del 16 ottobre, lo lascia basito.
Nella realtà, le prove di un passaggio di informazioni militari all’imperatore d’Austria Giuseppe II da parte di sua sorella Marie-Antoinette saranno trovate, ma solo in seguito all’esecuzione della regina.
I due avvocati non hanno tempo per riprendersi dalla delusione e dalla spossatezza.
Appena terminato il processo, sono arrestati e rinchiusi a loro volta alla Conciergerie. Subiscono un lungo interrogatorio a proposto di presunte confidenze dell’ex-sovrana.
Nonostante il gravissimo sospetto che grava su di loro – ossia quello di simpatizzare con i contro-rivoluzionari e di aver difeso troppo bene la vedova Capet – i due avvocati vengono rilasciati il giorno dopo.
Con qualche capello bianco in più, suppongo.
Tuttavia, i rischi ed il lavoro per Lagarde non sono finiti. Ben presto dovrà tentare di difendere un’altra donna altrettanto fiera, ma di posizioni politiche ben differenti…
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