La coraggiosa fine di Madame Roland
In questa serie di articoli, sto rievocando alcuni dei processi più surreali e spaventosi che l’avvocato Chauveau-Lagarde (1756-1841) dovette affrontare in qualità di difensore d’ufficio del Tribunale rivoluzionario, nel momento in cui la Rivoluzione francese precipitava nel Regime del Terrore.
Tra i più famosi, abbiamo già visto quello di Charlotte Corday, l’assassina dal viso d’angelo, e quello della regina Marie-Antoinette.
Nemmeno un mese dopo l’esecuzione della sovrana, un’altra donna di primo piano ebbe disperatamente bisogno del suo aiuto.
Quando Chauveau-Lagarde la conobbe personalmente, la celebre Marie-Jeanne Philippon, detta Manon, era agli arresti in quanto moglie del latitante Jean-Marie Roland, di vent’anni più anziano di lei.
Tra Jean e Manon, il legame era profondo.
Lei lo amò più come un padre tanto più che, dopo la nascita della loro unica figlia, la coppia dormì per anni in letti separati.
Eppure, nonostante gli spasimanti non le mancassero, Madame Roland non tradì mai il suo caro Jean.
Durante le Rivoluzione, Madame Roland era stata la mano destra, la confidente, l’alleata e anche, per certi versi, il manager di suo marito, procurandogli – grazie ad un sapiente impiego di amicizie ed alleanze – la posizione di Primo Ministro del re, in un periodo in cui si cercava ancora di salvare la monarchia in Francia.
In tempi ancora più o meno pacifici, tutti la conoscevano come la musa del partito girondino e casa Roland era un calderone di idee illuministe e rivoluzionarie.
Immaginate ora lo spirito di quelle riunioni, traboccanti di sogni e di idee su un futuro migliore, ignare dello spaventoso tributo di sangue che di lì a breve sarebbe stato reclamato.
Madame Roland incarnava alla perfezione lo spirito dei salotti privati del secolo dei Lumi nella loro ultima evoluzione. É interessante considerare che la prima tipologia di quelle riunioni era figlia proprio di quella tradizione aristocratica che la Rivoluzione voleva cancellare.
Sotto l’Ancien Régime, le case dei nobili avevano accolto la vita intellettuale del tempo, permettendo di esercitare l’arte della conversazione e della discussione filosofica.
Le madrine di questi salotti erano colte nobildonne che sfruttavano l’occasione per esprimersi e dibattere con gli uomini su temi politici, sociali e religiosi, cosa non permessa nella normale vita mondana.
La Rivoluzione spinse gran parte delle famiglie aristocratiche ad emigrare e così l’abitudine dei salotti si spostò nelle case borghesi, trasformatesi in centri di discussione politica.
Quella di Madame Roland era il luogo di riunione prediletto dal partito girondino.
Per rimanere in temi “da salotto”, ecco l’immancabile pettegolezzo. Per la brillante Manon, le riunioni di casa sua avevano un pregio segreto in più: la costante presenza del deputato Léonard Buzot, un giovane e celebregirondino caduto irrimediabilmente vittima del fascino della padrona di casa.
Manon ne ricambiava la passione, questo è sicuro, ma in una forma tanto intensa quanto platonica.
Rinchiusa in una cella della Conciergerie, a pochi passi da quella che aveva visto gli ultimi giorni della regina Marie-Antoinette, questa donna intelligente e coraggiosa, che era stata una delle anime della Rivoluzione, si ritrovava a fare i conti con la cruda realtà: i sogni di libertà si erano trasformati, uno dopo l’altro, in incubi di sangue.
I più fortunati tra i suoi amici girondini, in quel momento, erano latitanti – tra questi suo marito che l’aveva implorata, senza successo, di fuggire dalla capitale e di raggiungerlo. Gli altri erano morti.
«Voi conoscete il mio entusiasmo per la Rivoluzione, ebbene ne ho vergogna! Essa è infangata da scellerati, è divenuta mostruosa!»,
scriveva sconvolta dopo i massacri di settembre.
Da fervente girondina qual era, Madame Roland era repubblicana, ma mai avrebbe voluto vedere la sua cara “democrazia” sorgere su una montagna di cadaveri!
Per mesi, l’avvocato Chauveau-Lagarde si era recato nelle carceri femminili. Portava notizie alle prigioniere legate ai girondini di cui era stato incaricato della difesa, mantenute all’oscuro di tutto nelle loro celle.
Come immaginerete, le notizie non erano buone: accusati di cospirazione, i girondini arrestati erano finiti quasi tutti sul patibolo.
Tra queste prigioniere vi era Madame Roland che, quando venne informata del suo imminente processo (normalmente un giorno per l’altro), designò l’avvocato come proprio difensore.
Lagarde e Madame Roland elaborarono insieme la condotta da tenere durante il processo e le linee guida della difesa, lavorando fino a notte fonda.
Al momento del congedo, Madame Roland si alzò e porse a Lagarde un anello.
L’avvocato, sul momento, non comprese il gesto:
«Madame, avremo modo di rivederci domani, dopo la sentenza.»
«Domani, non esisterò più. Conosco la sorte che mi attende. I vostri consigli mi sono cari, ma potrebbero divenirvi funesti e ciò significherebbe perdervi, senza salvarmi.
Che io non abbia il dolore d’aver causato la morte di un uomo onesto. Non venite in tribunale, vi respingerei, ma accettate il solo pegno che la mia riconoscenza possa offrirvi.»
Purtroppo, Madame Roland aveva perfettamente ragione: l’assistenza di Lagarde avrebbe sortito il solo effetto di condannarlo a sua volta. L’avvocato, suo malgrado, obbedì.
Al processo, Madame Roland si difese dunque da sola.
Il suo obiettivo non era quello di salvarsi – come abbiamo visto, non si faceva molte illusioni in merito – quanto quello di riabilitare la memoria dei suoi compagni girondini, che quello stesso tribunale aveva condannato come traditori.
Il discorso venne ritenuto talmente pericoloso che le fu tolta la parola e, con essa, ogni possibilità di continuare a difendersi.
L’aneddoto più diffuso sulla sua fine, sostiene che Madame Roland, rivolgendosi alla statua della Libertà da poco eretta in place de La Révolution (oggi de la Concorde), avesse esclamato pochi istanti prima di venire ghigliottinata:
«Oh Libertà! Quanti crimini si commettono nel tuo nome!»
L’aneddoto molto probabilmente è falso, ma riassume bene il sentimento contenuto nelle ultime parole – autentiche – che Manon Roland pronunciò davanti al Tribunale, nel momento in cui la sua condanna a morte veniva approvata all’unanimità:
«Voi mi giudicate degna di condividere la sorte dei grandi uomini che avete assassinato: tenterò di portare sul patibolo il coraggio che hanno dimostrato».
Il 15 novembre, una settimana dopo l’esecuzione di sua moglie, avendo appreso la terribile notizia e perso ogni speranza, Jean-Marie Roland si tolse la vita.
Lo stesso fece, alcuni mesi dopo, l’amore segreto di Manon, Léonard Buzot, anche lui latitante.
Con il processo Roland, Lagarde comprese che non vi era praticamente più modo per lui di difendere chicchessia, eppure un altro caso gli sarebbe finito tra le mani, quello di una donna che conobbe la ricchezza ed il potere in un’epoca di cui, ormai, non si poteva più parlare.
Continua…