Copertina du barry

Madame du Barry: un cammino verso il patibolo disseminato di diamanti

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In questa serie di articoli sto ripercorrendo alcuni dei processi più drammatici che l’avvocato Chauveau-Lagarde (1756-1841) dovette affrontare in qualità di difensore d’ufficio del Tribunale rivoluzionario, nel momento in cui la Rivoluzione francese precipitava nel Regime del Terrore.

Con Charlotte Corday, la regina Marie-Antoinette e Madame Roland abbiamo visto – sebbene per ragioni diametralmente opposte – affrontare il patibolo con un coraggio ed una dignità al limite dell’umano.

Chuveau-Lagarde
Césarin Davin-Marivault, ritratto di Chuveau-Lagarde (inizio XIX sec, Musée du Barreau de Paris).

Nel caso che vi racconto ora, Chauveau-Lagarde conobbe una donna di tutt’altra tempra e molto meno disposta ad accettare la sua sorte crudele. Mi riferisco alla contessa du Barry, un tempo la stella più brillante della corte di Versailles.

François-Hubert Drouais, ritratto della contessa Du Barry come Flora nel 1769. In questo ritratto la contessa era nel momento del suo massimo splendore: aveva 26 anni ed era l’amante del re da diversi mesi (Palazzo di Versailles, photo from Wikipedia).

Inconsapevole della gravità del momento storico che stava vivendo, l’ingenua contessa non temette per la propria vita nemmeno dopo il suo arresto, avvenuto quando ormai il Regime del Terrore era in marcia.

Quando le venne annunciato che avrebbe risposto della gravissima accusa di cospirazione davanti al Tribunale rivoluzionario, la povera Jeanne Bécu, meglio nota come Madame du Barry, si convinse di essere vittima di un semplice malinteso. Lo prova il fatto che rifiutò di fuggire di prigione quando le si presentò l’occasione.

La sua ingenuità è tutta racchiusa in una supplica che la contessa inviò all’inflessibile accusatore pubblico Fouquier-Tinville, che già ben conosciamo come uno degli artefici principali della condanna a morte della deposta sovrana Marie-Antoinette, ghigliottinata appena un mese e mezzo prima.

Antoine Quentin de Tinville detto Fouquier-Tinville
Antoine Quentin de Tinville, detto Fouquier-Tinville, il terribile accusatore pubblico del Tribunale rivoluzionario.

In questo scritto l’ingenua Jeanne – la quale evidentemente non aveva letto i giornali con la dovuta attenzione – faceva appello alla “giustizia” e “all’equità” di Tinville. Tanto valeva appellarsi al buon cuore di Himmler, se fosse stata la sua epoca.
Tinville, com’era prevedibile, non le rispose.

Durante il primo interrogatorio, la prigioniera fornì candidamente ogni informazione, senza negare il proprio passato di favorita reale e concedendosi solamente una civettuola menzogna circa la propria età: dichiarò fermamente di aver appena quarantadue anni, invece di cinquanta.

Madame du barry Vigee Lebrun
Una copia del ritratto di Madame du Barry nel suo parco a Louveciennes (1789, anno di inizio della Rivoluzione francese) realizzato da Élisabeth Vigée-Le Brun (Musée Lambinet).

Chi era questa incosciente signora, irrobustita col tempo ma ancora attraente, che pareva non rendersi conto della propria precaria posizione e si preoccupava piuttosto di togliersi qualche anno?

In gioventù, Jeanne Bécu era emersa da una delle condizioni sociali più umili grazie alla sua sfavillante bellezza.
Venditrice o dama di compagnia che fosse, la sua figura non passava mai inosservata e la giovane Jeanne – che era sì leggera, ma non stupida – comprese ben presto come impiegare al meglio le proprie potenzialità.

Ora, uno dei suoi protettori, il conte Jean du Barry, indebitato fino al collo, pensò di servirsi nella sua bella amante per ottenere una protezione a corte.
Dopotutto, Jeanne era un vero morceau de roi (‘boccone da re’) e la sua avvenenza non avrebbe certo mancato di colpire Louis XV, ormai sessantenne, da sempre grande estimatore di bellezze.

Louis_XV
Louis-Michel van Loo, ritratto di Louis XV (1710-1774).

Nel 1768, come da copione, dopo essersi incontrati “per caso” per i corridoi della reggia di Versailles, Jeanne e Louis divennero amanti.
La bella signorina dovette sposare, per salvare le apparenze, il fratello del conte du Barry e prenderne il nome, onde poter essere presentata ufficialmente a corte (una donna nubile e senza titoli non sarebbe mai stata ammessa).

Da quel momento, Jeanne, appena venticinquenne, conobbe il periodo migliore della sua esistenza, circondata dai piaceri della vita e del lusso.

Madame_du_Barry
François-Hubert Drouais, ritratto della contessa du Barry, (1770, photo from Wikipedia).

Dimenticate il personaggio sboccato del film di Sofia Coppola, “Marie-Antoinette”, in cui la du Barry appare così come la vedeva la giovane delfina, intimidita dalla sua prorompente femminilità e influenzata dalle bigotte Mesdames Tantes (‘Signore Zie’), le figlie del re Louis XV e acerrime nemiche della contessa.
Grazie alle sue avventure galanti, Jeanne Beçu aveva frequentato il bel mondo e appreso le maniere dell’aristocrazia.
Qualcuno osservò che fosse persino più fine della precedente favorita di Louis XV, la coltissima Madame de Pompadour – deceduta quattro anni prima – che aveva sempre conservato i modi borghesi delle sue origini.

Jeanne rimase l’amante del re fino alla sua morte, sopraggiunta nel maggio del 1774.
I cortigiani che non vedevano l’ora di liberarsi di lei – sebbene Jeanne non si fosse mai interessata né politica né di giochi di potere – ne pretesero l’immediato e definitivo allontanamento da corte.
Tra questi vi era la nuova regina Marie-Antoinette che – come dicevo – non l’aveva mai potuta soffrire, complice anche una certa invidia femminile.
L’ordine di rinchiuderla in convento tuttavia, per quanto strano possa sembrare, proveniva dal defunto Louis XV in persona che, di fronte alla morte, era piombato in un’altra delle sue profonde crisi religiose e morali.

Madame du barry e Marie-Antoinette
Un busto di Madame du Barry (a destra) e della regina Marie-Antoinette (a sinistra) che ho ammirato a una mostra di arte contemporanea allo storico café Tortoni. Due dive del loro tempo, due rivali, ma un unico tragico destino.

Dopo un periodo di reclusione, il re e la regina concessero infine alla contessa di riguadagnare la libertà e di rioccupare l’amato castello di Louveciennes, dono che le era stato fatto da Louis XV alcuni anni prima.

Jeanne era nuovamente felice: non chiedeva altro che potersi godere la vita, il suo castello e i suoi amici, lontana dagli intrighi di corte.

Il castello di Louveciennes (photo from Geneanet).

Avrebbe potuto essere un perfetto lieto fine, tanto più che Madame du Barry era anche innamorata.
La sua nuova passione era il colonnello dei Cento Svizzeri, la guardia personale del re Louis XVI, il duca Louis Hercule Timoléon de Cossé-Brissac, un prestante gentiluomo sposato a una moglie convenientemente assente.
Il duca rimase legato a Jeanne fino alla suo assassinio, avvenuto durante i Massacri di Settembre. La sua testa venne lanciata nel salone di Louveciennes ai piedi di Jeanne.
La declinazione più crudele della Rivoluzione era in marcia e stava per travolgere la contessa.

Louis_Hercule_Timoleon de Brissac
Il duca di Brissac nel 1790 (photo from Wikipedia).

Non erano anni facili in cui vivere e il pericolo di compromettersi era altissimo. Nonostante ciò, Jeanne continuò a trascorrere le sue giornate convinta che gli eventi politici non la riguardassero.

Nel gennaio del 1791, a Louveciennes, le venne rubato un gran numero di gioielli e di pietre preziose mentre era assente.
Poco dopo, la refurtiva venne ritrovata in Inghilterra e Madame du Barry, che per i gioielli aveva un vero debole, dovette attraversare la Manica ben quattro volte nel tentativo di riottenere le sue ricchezze.

Non fu una buona mossa: in Inghilterra, al tempo, erano rifugiate molte famiglie aristocratiche emigrate dalla Francia dopo lo scoppio della Rivoluzione francese, famiglie che la contessa conosceva e che non mancò di incontrare sotto gli occhi delle spie francesi.

Quando Louis XVI fu ghigliottinato, la contessa era a Londra e, vestita a lutto, si recò alla funzione in sua memoria assieme all’aristocrazia emigrata. Di male in peggio!

Louis xvi
L’ultimo re di Francia Louis XVI (1754-1793).

Nonostante le fosse stato caldamente sconsigliato di rientrare in Francia, la contessa tronò a Louveciennes un’ultima volta, per scongiurarne la confisca da parte del governo rivoluzionario, che accusava di emigrazione chiunque si assentasse troppo allungo dalla Francia.
La decisione risulterà fatale.

Al processo, le piombarono sulla testa le accuse più gravi.

Ora, Jeanne aveva effettivamente prestato delle somme di denaro ad alcuni emigrati, ma lungi da lei cospirare, tramare, o finanziare una contro-rivoluzione.
Erano suoi amici, erano in difficoltà, li aveva aiutati volentieri, fine della storia.
Riguardo all’abito da lutto indossato alla funzione per Louis XVI a Londra, Madame du Barry non seppe trovare una scusa migliore di «avevo solo abiti neri con me».

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Élisabeth Vigée-Le Brun, ritratto di Madame du Barry nel 1781 (all’età di 38 anni; Philadelphia Museum of Art, photo from Wikipedia).

Malauguratamente, la difesa di Lagarde non è stata conservata. Si sa solo che insistette sulla futilità delle accuse.

Certo che lo erano: al Tribunale interessava essenzialmente la ricchezza della contessa, nessuno credeva davvero che avesse cospirato contro la Rivoluzione.
Al tempo del furto, l’incauta aveva avuto l’infelice idea di far pubblicare l’elenco dei beni scomparsi, andando così ad alimentare ogni possibile invidia e attirando irrimediabilmente l’attenzione su di sé.

Per giunta, i testimoni più accaniti contro la contessa erano due persone che erano vissute per anni sotto il suo stesso tetto: si trattava del cuoco Salanave – che era stato cacciato perchè implicato nel furto di diamanti – e l’amato Zamor, un ragazzo del Bengala che la contessa aveva adottato all’età di dieci anni per farne il suo viziatissimo paggio quando ancora era la favorita reale.
Entrambi nutrivano nei confronti di Jeanne il più profondo del rancori e furono all’origine della sua denuncia.

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Gauthier-Dagoty, ritratto di Madame du Barry con il paggio Zamor (Calouste Gulbenkian Museum, photo from Wikipedia).

Quando udì la sentenza, la contessa gridò, pianse, supplicò e poi cadde in uno stato di totale prostrazione.

Mentre le tagliavano i capelli e la preparavano per il patibolo, le venne fatto credere che, se avesse confessato dove trovare i gioielli che si sapevano nascosti da qual che parte a Louveciennes, le sarebbe stata risparmiata la vita.
Jeanne – che per prudenza aveva effettivamente nascosto alcune ricchezze nel suo parco – rivelò tutto. Guadagnò solamente sei ore di angoscia in più.

Lascio alle parole della maggiore ritrattista donna del suo tempo, Élisabeth Vigée-Le Brun, il ricordo straziante di quel triste 8 dicembre 1793 in questo triste piccolo articolo.