Una notte allo château di Rosa Bonheur, l’artista amica degli animali
La gita fuori Parigi che sto per raccontarvi è stata per me molto più di un diversivo.
È perfetta per chi sia in cerca di pace, natura e riposo, ma anche e soprattutto per quelle anime in cerca di ispirazione, donne in particolare, ma non solo.
Per me, scrittrice dalla creatività sempre bisognosa d’incoraggiamento, è stata un rimedio.
Rosa Bonheur: una vita d’artista fuori dal comune
Lo château-atelier di Rosa Bonheur si trova nella località di By – Thomery, un villaggio a 80 km da Parigi e 45 minuti dalla Gare de Lyon.
Lo château è poco noto ai turisti, ai parigini e ai francesi in generale. Lo stesso dicasi dell’illustre proprietaria che gli diede il nome.
Le fondamenta risalgono al XV secolo, le mura all’epoca dei moschettieri, ma l’atmosfera è tutta impregnata dal ricordo di un’artista che fu la stella del XIX secolo, celebrata fin oltre la Manica e l’Atlantico, la prima nella storia a venir insignita della Légion d’honneur: Rosalie Bonheur (1822-1899).
Rosalie, detta Rosa, era figlia di un pittore che fallì nel tentativo di fare carriera, così sua madre, musicista, fu costretta a rinunciare alla propria per strappare alla miseria i suoi quattro bambini.
Lo sforzo le costò la vita, un sacrificio che Rosa, la maggiore, non dimenticò mai.
Sarà lei sola, più tardi, a risollevare il destino della famiglia, ma questo ancora la piccola Rosalie non poteva saperlo.
«Potrai diventare una pittrice professionista solo a condizione di essere la migliore».
Queste le parole del padre quando iniziò ad insegnarle i rudimenti del mestiere.
Ma ben presto l’allieva superò il maestro e allora dove prendere lezioni? Nell’Ottocento le donne non erano ammesse alla Scuola di Belle Arti.
Per completare la formazione, la giovane avrebbe dovuto rivolgersi a una scuola privata, le uniche ad accettare donne tra i loro allievi, ma le rette erano a dir poco insostenibili.
Che fare allora?
Per Rosa, la soluzione poteva essere era una soltanto: imparare da sé.
Il suo soggetto di studio prediletto si rivelò ben presto il mondo animale, che Rosa ritraeva con una fedeltà e una precisione eccezionale, tanto che i suoi dipinti sono oggi trascurati dallo storia dell’arte, ma non dalle facoltà di veterinaria.
Alcune evoluzioni e modificazioni anatomiche di determinate specie sono state identificate grazie al suo stile iper-realista, che fornisce un dettaglio irraggiungibile dalla fotografia dell’epoca.
L’applicazione costante e la determinazione di Rosa le permisero di esporre al Salon per la prima volta a soli diciannove anni, un vero record per l’epoca, anche per un artista uomo. Questo evento sancì l’inizio della carriera di Rosa come artista indipendente.
Da acuta osservatrice del suo tempo, la giovane pittrice aveva scelto un soggetto che potesse venir considerato “decente” per una donna, ossia dei teneri coniglietti.
Altri animali più focosi, selvaggi e aggressivi, quali leoni, orsi e cavalli non sarebbero andati bene, poiché secondo l’opinione corrente, non possedendo né forza, né potenza, le donne non sarebbero state in grado di rappresentarle correttamente.
Negli anni che seguirono, Rosa ebbe tuttavia l’audacia di esporre opere rappresentanti proprio quegli animali che in teoria una legge naturale le impediva di dipingere.
Contro ogni aspettativa, la scelta venne premiata dal successo.
La grande tela – 2,4 x 0,5 m! – intitolata Le marché aux chavaux (‘Il mercato dei cavalli’), oggi conservata al Metropolitan Museum of Art di New York, incontrò un immenso successo di critica che le valse il permesso di esporre al Salon senza più dover passare l’esame della giuria.
«Un vero dipinto da uomo, nervoso, solido, pieno di autenticità»
(da una critica dell’epoca).
Col ricavato della vendita di quell’unica tela – che avvenne negli Stati Uniti, terra in cui Rosa raggiunse un fama straordinaria – la pittrice poté acquistare, nel 1859, la proprietà in cui ho potuto finalmente metter piede.
Il bell’atelier che occupa l’ala Nord dello château è un’aggiunta voluta da Rosa, che commissionò anche la decorazione in mattone di stile neo-gotico in voga all’epoca.
A quei tempi, il bel parco di circa 3 ha che circonda la costruzione era popolato da schiere di animali: cani, gatti, cervi, cavalli, vacche, capre, pecore, cinghiali…
L’artista aveva necessità di studiare dal vivo i suoi soggetti, soggetti che, contrariamente all’opinione dominante dell’epoca, Rosa riteneva dotati di anima.
Molti di questi conquistarono a tal punto l’affetto di Rosa che, una volta deceduti, l’artista ne volle conservare le spoglie nel suo atelier. Quelli che si vedono oggi dunque, non sono trofei di caccia, ma ex-abitanti dello château rimasti ad alleviare la solitudine di Rosa.
Per potersi aggirare più comodamente nel parco e nella foresta circostante, Rosa vestiva spesso un paio di pantaloni. Abbiamo già avuto modo di parlare dello speciale permesso rilasciato in casi eccezionali dalla prefettura di Parigi, da rinnovare ogni sei mesi, che autorizzava le donne a portare indumenti maschili (leggi l’articolo). Rosa era una di quelle eccezioni, come testimoniano alcuni dei suoi ritratti.
Se oggi il castello è così ben conservato, costantemente interessato da interventi di restauro e aperto al pubblico, ciò si deve a una famiglia coraggiosa, quella di Katherine Brault, che lo acquistò nel 2017 nello stato in cui versava, ossia praticamente intatto dagli anni Quaranta del XX secolo.
Entrare nelle sale assopite, quasi fossero in attesa del ritorno di Rosa, trasmette sensazioni che solo certi racconti gotici sanno descrivere.
Le stanze stipate di studi, lettere, disegni, abiti, libri… Un’intera esistenza in sospeso.
Fu Anna Klumpke, figlia adottiva e unica erede di Rosa, americana d’origine e pittrice anch’essa, a consegnare le tracce intatte di quell’esistenza alla storia, nella speranza che finisse un giorno nelle mani giuste.
Così è stato e quelle mani appartengono ancora una volta a delle donne, madre e figlie, dedite al recupero e alla valorizzazione del ricordo di Rosa. Anna sarebbe contenta.
La visita
Allo château è possibile accedere con visita guidata e le guide sono preparatissime. Spesso si tratta dei membri della famiglia stessa.
L’aneddoto che più vale la pena di riportare, a mio avviso, riguarda il ritratto di Rosa Bonheur, realizzato da Dubufe quando la pittrice aveva trentacinque anni ed era all’apice della sua carriera.
In origine, la figura di Rosa era appoggiata a un mobile. La pittrice non si rispecchiava nella raffigurazione e così pregò Dubufe di sostituire il mobile con un animale, uno qualunque.
Il famoso ritrattista obbedì, ma il cane che realizzò era troppo brutto per soddisfare la specialista di raffigurazioni animali.
Venne così deciso che Rosa avrebbe messo mano al dipinto, sostituendo il cane, che aveva già sostituito il mobile, con una vacca realizzata come si deve. Il risultato fu questo singolare ritratto a due mani.
Lo sguardo dell’animale ipnotizza, quasi avesse vita propria.
A me è stato concesso, come premio per aver partecipato a un concorso su Instagram, di pernottare nella camera di Rosa Bonheur.
Sì, perché al castello si può pernottare, mangiare benissimo e godersi la piscina che è stata allestita nel parco.
Il fascino maestoso e scricchiolante di una magione ottocentesca, il ricordo di Rosa e dei suoi animali, la bellezza del parco e i profumi della sala da tè… tutto è sapientemente conservato e rispettato per trasmettere al visitatore le impressioni di un’epoca suggestiva, che oggi possiamo ritrovare solamente nei romanzi.
Dulcis in fundo e una strizzata d’occhio ad alcuni lettori affezionati: allo château i gatti sono custodi onnipresenti… anche se spesso inutili.