La controversa vicenda di Louis-Philippe duca d’Orléans, detto Philippe Égalité
Un duca giacobino
La Rivoluzione francese è un fase della storia molto complessa e impegnativa che preferisco raccontare attraverso le vicende dei singoli e quella che vi riassumo in questo articolo giocò un ruolo chiave negli eventi di quel periodo, per poi venir travolta dai voltafaccia repentini della fortuna tanto comuni nella Francia di fine XVIII secolo.
La controversa vicenda di Louis-Philippe duca d’Orléans (1747-1793) appartiene alla serie “dalle stelle alle stalle”.
Louis-Philippe d’Orléans era cugino del re Louis XVI e quindi di sangue blu-che-più-blu-non-si-può, essendo il rampollo del ramo cadetto della famiglia reale, praticamente la persona più vicina al trono dopo i due fratelli minori del re.
Nonostante la sua illustre condizione, il duca non era benvoluto a corte per via delle sue frequentazioni. Liberale e amico dei giacobini, il duca lasciò che la sua dimora parigina, Palais-Royal, diventasse un centro di opposizione al già debole governo di Louis XVI, nonché la culla del movimento rivoluzionario che più tardi avrebbe travolto entrambi.
Le gallerie e i giardini della reggia erano aperti al pubblico e visto che la polizia non era ovviamente autorizzata a metter piede nella residenza del duca, moltissime delle attività illecite normalmente perseguite trovarono proprio sotto ai bei portici di Palais-Royal un confortevole alloggio, circoli e club politici clandestini in primis.
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Illuminato o opportunista? Temerario o vigliacco? Quel che è certo è che, all’alba della Rivoluzione francese, il duca d’Orléans era considerato un paladino della libertà popolare e i sudditi, provati dalla miseria, dalle tasse e dalle carestie, nutrivano nei suoi confronti la stima che avevano perso per il legittimo sovrano. Vediamo come e perché.
Il duca aveva attirato su di sé l’ammirazione del popolo con una sapiente manovra in occasione degli Stati Generali, l’assemblea dei rappresentanti della popolazione francese divisa nelle tre classi sociali: il primo stato o clero, il secondo stato o aristocrazia ed infine il terzo stato, ossia tutti quelli privi di qualunque peso politico, ma che costituivano i due terzi della popolazione nazionale (commercianti, avvocati, artigiani, contadini…).
Erano trascorsi più di 150 anni dall’ultima convocazione degli Stati Generali e Louis XVI concesse l’autorizzazione solo dopo diversi tentennamenti, vedendo giustamente l’evento come la manifestazione lampante della crisi del suo governo. Reticenze o meno, la Francia colava a picco per i debiti a causa delle guerre sostenute e occorreva assolutamente mettere in atto un sistema di tassazione straordinario che poteva essere autorizzato solo da una decisione degli Stati Generali.
Ed eccoli riuniti finalmente:
Durante una seduta, il duca d’Orléans abbandonò il proprio Stato assieme ad altri nobili per affiancare le file del Terzo, dimostrando con un gesto plateale che lui era col popolo, del popolo e per il popolo. Il gesto gli valse l’adorazione della folla e precipitò la sua reputazione presso le schiere conservatrici della nobiltà, prima fra tutti la regina, Marie-Antoinette.
Come passare da “Ai suoi ordini, duca” a “heilà, Philippe!”
Il duca era un ambizioso, questo è assodato. Le pericolose amicizie di cui si era circondato lo lusingavano con la promessa del trono ottenendo in cambio i finanziamenti necessari alle società segrete che organizzavano la Rivoluzione.
La stampa normalmente oggetto di censura che attaccava il governo di Louis XVI e la reputazione della regina partivano in buona parte da Palais-Royal e le riunioni dei club dei Giacobini avvenivano sotto al naso del duca, ai tavoli dei cafés dei suoi bei giardini. La lungimiranza politica di Louis-Philippe non eguagliava certamente la sua ambizione ed è evidente che non seppe indovinare i risvolti violenti della rivolta che si stava preparando.
La famosa presa della Bastiglia, per fare un esempio, partì proprio dal Café de Foy di Palais-Royal.
Considerata la grande popolarità raccolta dal duca al momento dello scoppio della Rivoluzione, sorge spontaneo domandarsi come giunse ai gradini della ghigliottina, privo di titoli e di seguito. Ripercorriamo alcuni dei suoi passi falsi più clamorosi.
A seguito del tentativo di fuga del re Luigi XVI e della famiglia reale, conclusosi a Varenne con un umiliante nulla di fatto, al duca d’Orléans venne offerta la corona su un piatto d’argento. Il suo inatteso rifiuto fu un duro colpo per i suoi sostenitori.
Evidentemente la piega degli eventi aveva superato le sue aspettative e la violenza del movimento che aveva patrocinato fino a quel momento lo aveva profondamente spaventato.
Philippe d’Orléans, ormai chiamato da tutti Philippe Égalité, tentò persino un maldestro tentativo di riconciliazione con Louis XVI la cui fredda reazione è facilmente immaginabile.
Tra tutte le accuse che i posteri mossero a Philippe Égalité, quella da cui è davvero difficile difenderlo riguarda il processo dello stesso Louis XVI, occasione in cui il duca, dopo aver assistito agli eventi più violenti della Rivoluzione (gli assalti della folla al palazzo reale delle Tuileries a Parigi, l’incarcerazione della famiglia reale e i terribili massacri di settembre) non trovò il coraggio di difenderlo e anzi, votò a favore della pena di morte. Questo gesto ebbe non solo un esito tragico, ma non ottenne nemmeno gli effetti sperati: più che compiacere i nemici dell’ex-sovrano, riuscì soprattutto a disgustarli.
Forse tormentato dai sensi di colpa, quando il regime del Terrore iniziò a muovere i suoi primi sanguinari passi, Philippe Égalité cercò una qualche forma di redenzione salvando in segreto la vita di numerosi perseguitati. Non va esclusa anche l’inconfessata speranza di venir salvato dalle truppe straniere in marcia verso la capitale. Nobile o meno che fosse la motivazione, l’ex- duca d’Orléans decise di tradire il movimento rivoluzionario che aveva aiutato ad emergere.
Il destino di Philippe Égalité venne sigillato nel momento in cui suo figlio, il duca di Chartres, disertò e passò dalla parte del nemico straniero. L’ex- duca venne arrestato assieme ai suoi sostenitori e subì un trattamento molto in voga al momento, ossia un “processo-sentenza-ghigliottina all inclusive” offerto dallo spietato Tribunale rivoluzionario.
In tempi più felici Philippe aveva sognato la corona e a causa di ciò si lasciò manovrare come una marionetta fino a compromettersi su tutti i fronti. Ora che – molto sommariamente – vi sono stati narrati gli eventi che lo travolsero, lascio a ciascuno la libertà di trarre le proprie conclusioni o di approfondire ulteriormente la vicenda.
Per quanto mi riguarda, scelgo di astenermi da un giudizio fin troppo facile da emettere e mi abbandono a molti interrogativi che mi impegno a tentare di sciogliere un giorno o l’altro. Se la natura del duca d’Orléans non brilla particolarmente di meriti alla luce degli eventi storici, è altrettanto vero che tentare di calarsi nel clima di un’epoca tanto sanguinaria e soggiogata dalla paura – ma sarebbe meglio chiamarlo “Terrore” – non è un’impresa semplice per la mentalità odierna.
Impiegherò dunque la figura del duca in maniera produttiva, come uno spunto di riflessione per tentare di comprendere le forme con cui i singoli scelsero di affrontare un cambio tanto violento di regime – di più: di un’epoca! – e dunque gestire la perdita totale dei propri punti di riferimento, dei valori che erano stati la guida di tutti fino ad allora.
Alla prossima vicenda!