L’Affare della Collana (IV parte): lo scandalo e il processo
Nell’ultimo articolo di questa serie dedicata all’Affare della Collana, vediamo come l’intrigante contessa Jeanne de La Motte entrò in possesso della collana più preziosa della storia e delle enormi conseguenze che ne derivarono.
Abbiamo visto come, grazie alla firma falsa “Marie-Antoinette de France” e a quella autentica dell’a-dir-poco-ingenuo cardinale di Rohan, la contessa era riuscita a convincere i gioiellieri dell’intenzione della regina di acquistare il monile.
(Leggi di come il cardinale si era fatto convincere nell’articolo La sosia della regina)
Con questo servizio, il cardinale sperava di riconquistare la simpatia della sovrana e di ottenere la riconciliazione ufficiale promessa dalla contessa, che vantava un’intimità eccezionale con sua altezza reale…
(Leggi di come il cardinale si era giocato il favore di Marie-Antoinette anni prima e di come poi conobbe Jeanne de La Motte, la donna che li avrebbe entrambi rovinati, nell’articolo precedente)
Una fredda notte di febbraio 1785, il cardinale si recò con la straordinaria cascata di diamanti chiusa in un cofanetto nell’appartamento affittato da Jeanne de La Motte a Versailles.
La contessa protese le mani con un sorriso, ma il cardinale ebbe un momento di esitazione.
Subito si udirono dei passi, qualcuno bussò alla porta e poi bisbigliò un flebile:
«Da parte di Sua Maestà».
Jeanne andò ad aprire e tornò con un biglietto firmato dalla regina – o meglio, “Marie-Antoinette de France” – che ordinava di consegnare il monile alla sua guardia.
Ogni dubbio si dissolse. Il cardinale obbedì.
Quella fu l’ultima volta che la “Gran Collana della Schiava” fu vista integra.
La meraviglia rientrò a Parigi dove venne smembrata, pietra dopo pietra, tra le mura dell’appartamento di Jeanne in rue Saint-Gilles, III arrondissement.
(Da leggere anche: Come Marie-Antoinette rifiutò la collana che l’avrebbe rovinata )
Per sei mesi, il conte e la contessa de La Motte si diedero alla pazza gioia.
Unico cruccio: continuare a vendere le pietre senza sollevare sospetti.
Per non insospettire il cardinale, Jeanne continuò a lamentarsi con lui delle precarie condizioni economiche in cui versava come aveva sempre fatto, mentre gli ignari gioiellieri Bohemer e Bassanges attendevano fiduciosi il versamento della prima rata prevista per il mese di luglio.
Come la contessa potesse dormire serena rimanendo sul luogo del crimine, invece di scappare a gambe levate con la refurtiva, non so spiegarmelo.
Quel che è certo è che, in quel periodo, Jeanne poté finalmente assaporare il tenore di vita che aveva sempre sognato e a cui riteneva di avere diritto. Restaurare il lustro dovuto al nome della sua famiglia, discendente da un ramo illegittimo della casata reale dei Valois, era un movente ancor più forte della semplice avidità, che l’avrebbe senza dubbio spinta a fuggire.
L’illusoria pretesa di Jeanne era quella di godere del lusso che le le era dovuto alla luce del sole.
Col giungere dell’estete 1785, Marie Antoinette ricevette un misterioso biglietto, firmato Bohemer e Bessanges, in cui i gioiellieri si complimentavano per un certo acquisto, accennando ai “più bei diamanti conosciuti in Europa”.
Invece di domandare spiegazioni, la regina bruciò il biglietto.
Ah, la leggerezza! Più lo scandalo tardava a scoppiare, più la posizione della regina si comprometteva e quella che la sovrana gettò tra le fiamme era forse l’ultima possibilità di rimediare per tempo.
Nel frattempo, luglio si avvicinava e con esso l’emergere della truffa.
Jeanne decise che avrebbe adottato la strategia di negare, negare e ancora negare.
Secondo le sue considerazioni, la colpa poteva facilmente ricadere sulla più discussa amicizia del cardinale, l’italiano Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro, noto avventuriere e sedicente mago.
Cagliostro si era guadagnato una certa fama a Parigi grazie ai rimedi miracolosi e alle guarigioni inspiegabili che gli venivano attribuiti.
Il cardinale di Rohan era un noto appassionato di esoterismo ed invitava spesso il mago a lavorare nel suo personale laboratorio alchemico, presso il principesco hôtel de Rohan.
Il legame tra i due era talmente stretto che il mago alloggiava non lontano dal cardinale, in rue Saint-Claude, nel III arrondissement, nell’hôtel particulier che esiste ancor oggi.
Lo stesso dicasi per Jeanne de La Motte che alloggiava in una via parallela.
Per farla breve, la rata arrivò, la regina perse le staffe e il cardinale venne arrestato sotto gli occhi di tutti i cortigiani il 15 agosto 1785, uno scandalo senza precedenti, che fece guadagnare a Marie-Antoinette l’eterno rancore della potentissima famiglia de Rohan.
Sua Eminenza venne rinchiuso alla Bastiglia, seguito poco dopo dal suo confuso amico, il conte di Cagliostro.
Jeanne venne sorpresa dagli agenti nella sua tenuta di campagna.
Si dice che il marito, al momento dell’arresto, la strinse a sé in un eccesso di commozione e prudenza, facendo sparire dalla di lei persona tutti i gioielli in cui erano incastonati certi diamanti compromettenti…
L’affranto conte de La Motte lasciò seduta stante la Francia per l’Inghilterra con il resto della refurtiva. Di questa non si saprà più nulla.
Mantenere il processo a porte chiuse sarebbe stata la scelta più saggia, considerata la precaria posizione della regina, che di tutto aveva bisogno fuorché di esporsi ad uno scandalo pubblico.
Invece, forti dell’indiscussa innocenza di Marie-Antoinette, la coppia reale concesse alla famiglia del cardinale di ricorrere alla giustizia del Parlamento.
Gli avversari di Marie-Antoinette non potevano sperare in un’occasione più ghiotta: le arringhe e i memoriali degli avvocati si vendettero come pane, così come i libelli che ritraevano la regina in atteggiamenti intimi con il cardinale, una versione della vicenda confermata – neanche a dirlo – dalla contessa de La Motte.
Tanta curiosità trovava spiegazione nella particolarità dei personaggi coinvolti e nella piega farsesca del processo.
Ecco un riassunto delle posizioni degli attori principali:
La regina e il cardinale vennero riconosciuti estranei ai fatti, ma l’opinione pubblica aveva ormai deciso di condannare Marie-Antoinette, anche dopo la lettura della sentenza, che indicava la contessa de La Motte come la principale colpevole.
Jeanne venne fustigata e marchiata a fuoco con la lettera “V” di voleuse (‘ladra’), per poi venir rinchiusa in un carcere dal quale evase in circostanze misteriose.
La contessa morí lanciandosi da una finestra di Londra per sfuggire a una seconda cattura, lasciando dietro di sé un mago rilasciato, ma bandito dal Regno di Francia, due gioiellieri in miseria, un cardinale assolto ma privato della dignità e una regina dalla reputazione irrimediabilmente rovinata.
Non proprio il finale che aveva immaginato, ma se Jeanne Valois de La Motte non ottenne la vita da principessa a cui aveva aspirato, per lo meno il suo nome entrò, senza dubbio, a far parte della storia.