I segreti dell’hôtel de Lauzun e il Club des Hashischins
L’Île Saint-Louis è un piccolo isolotto della Senna meno conosciuto rispetto alla ben più famosa Île de la Cité, che ospita la cattedrale di Nôtre-Dame. Durante il fine settimana, il ponte Saint-Louis che separa le due isole offre sempre ottima musica dal vivo.
Durante il XVII secolo – il cosiddetto Grand Siècle – l’isola fu una delle zone residenziali nobiliari più ambite dalla nobiltà.
Avere una palazzina affacciata sulla Senna era il massimo a cui aspirare, benché i seigneurs dovessero rassegnarsi a rinunciare alla maestosità delle architetture del Classicismo a causa delle esigue condizioni di spazio.
Pazienza! Meglio trovarsi elegantemente scomodi piuttosto che assenti.
(Da leggere anche Le residenze nobiliari del Grand Siècle: l’architettura è una questione di status sociale)
Molte di queste palazzine alla moda risalenti al Grand Siècle sopravvivono lungo le rive del fiume, tutte ricche di storia, ma questa volta mi soffermo su una in particolare.
L’elegante hôtel de Lauzun venne eretto sul quai d’Anjou nel 1657 e nel 1685 fu acquistato da un personaggio piuttosto discusso, l’affascinante – per i gusti dell’epoca, s’intende! – duca di Lauzun (1632-1723).
Il duca fu l’amante e poi sposo morganatico della più grande ereditiera di Francia, Anne-Marie-Louise d’Orléans (1627-1693), conosciuta come la Grande Mademoiselle, cugina del Re Sole.
La dama era dotata di un’immensa fortuna e di un temperamento fiero ed indipendente, che la misero in aperto contrasto con il reale cugino, Louis XIV. Il matrimonio col duca di Lauzun – avvenuto contravvenendo al fermo divieto di Sua Maestà! – fu uno dei maggiori scandali del tempo, a seguito del quale la Grande Mademoiselle fu addirittura bandita da corte!
Attenzione: le sorprese del hotel particulier che stiamo esplorando non finiscono qui.
Circa centocinquant’anni più tardi, il bibliofilo e collezionista Jérôme Pichon (1812-1896) acquistò l’hôtel e lo restaurò completamente.
Nonostante l’invasività tipica degli interventi di restauro dell’epoca, grazie a Pichon oggi possiamo lasciarci avvolgere dal fascino e dallo splendore di un interno aristocratico del Seicento parigino, conservatosi in buona parte intatto, soprattutto a livello dei soffitti.
La magia dei ricordi perdura per tutto il XIX secolo.
Dal 1843 al 1845, in un piccolo appartamento del secondo piano, abitò il poeta – allora poco più che ventenne – Charles Baudelaire (1821-1867).
Tra queste mura, Baudelaire conobbe lo scrittore Théophile Gautier (1811-1872) e il pittore Fernand Boissard (1813-1866), suoi vicini e affittuari nello stesso immobile.
Baudelaire compose qui le prime poesie della sua straordinaria opera, Les Fleurs du Mal, capolavoro di cui lo stesso Gautier firmò la prefazione.
Fu proprio a casa di Boissard, al primo piano dell’hôtel, che ebbero luogo le bizzarre sessioni del Club des Hashischins, fondato dallo stesso Théophile Gautier in collaborazione col dottor Jacques-Joseph Moreau de Tours nel 1844.
Il dottor Moreau de Tours era un intraprendente psichiatra che aveva viaggiato a lungo in Oriente, dove aveva scoperto gli effetti allucinogeni della cannabis e dell’hashish.
Moreau era convinto, come altri colleghi suoi contemporanei, che la follia consistesse in uno stato alterato della psiche in cui la coscienza rimaneva intrappolata. Moreau decise di sperimentare su di sé gli effetti delle sostanze psicotrope che simulavano temporaneamente quella misteriosa condizione, così da poterne svelare i segreti e aiutare i suoi pazienti. Dai suoi esperimenti trasse perfino un trattato, intitolato “Dell’hashish e dell’alienazione mentale” (1845).
Chissà come dovevano apparire le grottesche decorazioni dell’interno dell’hôtel de Lauzun sotto l’effetto dell’hashish!
Il club degli Hashischins si riuniva mensilmente per sperimentare le cosiddette fantasias, sotto l’attenta supervisione del dottor Moreau che, per l’occasione, si asteneva da ogni sostanza.
Il dottore aveva il compito non solo di osservare e documentare l’esperienza, ma anche e soprattutto di sventare ogni tentativo di defenestrazione, uno dei rischi maggiori delle sessioni. Quali pericoli non si corrono, per amore della Scienza!
Molti artisti, scienziati e uomini di lettere parteciparono alle riunioni del Club des Hashischins, come il pittore Eugène Delacroix, o gli scrittoriGérard de Nerval, Gustave Flaubert, Alexandre Dumas, Honoré de Balzac… Non pensate a una stanza piena di fumo: hashish e cannabis erano assunti tramite delle sorte di patés, marmellate, bonbons, ecc.</p>
Lo stesso anno di fondazione del club, Alexandre Dumas pubblicò Il Conte di Montecristo in cui descriveva, con dovizia di particolari, proprio una scena di “degustazione” di hashish.
Théophile Gautier riportò la sua esperienza addirittura su un giornale:
“In qualche minuto, un intorpidimento generale mi invase. Mi parve che il mio corpo si dissolvesse e divenisse trasparente. Vedevo nettamente nel mio petto l’haschich che avevo mangiato sotto forma di smeraldo da cui fuoriuscivano migliaia di piccole scintille; le ciglia dei miei occhi si allungavano illimitatamente, arrotolandosi come fili d’oro […].Vedevo ancora i miei compagni a momenti, ma metà uomini, metà piante, con l’aria pensierosa di ibis in piedi su una zampa, di struzzi che battevano delle ali talmente strane da farmi torcere dal ridere nel mio angolo”.
Tuttavia, né Gautier, né Baudelairen> frequentarono a lungo il club, preferendo alle lusinghe dei “paradisi artificiali”, l’ispirazione più sfuggente dei sogni naturali.
“L’uomo sottomesso ai fenomeni haschischiques […] non è altro che lo stesso uomo aumentato, il medesimo numero aumentato a una potenza molto alta.Che la gente di mondo e gli ignoranti, curiosi di conoscere delle gioie eccezionali, sappiano dunque bene che non troveranno nell’hashish nulla di miracoloso, assolutamente null’altro che il naturale all’eccesso”.
Se non lo avete ancora fatto, concedetevi una visita a questo scrigno di storie (le visite sono in inglese e in francese).
Nel frattempo vi auguro buona caccia alle meraviglie dell‘Île Saint Louis!