La magica arte dei Nabis tra colori, simboli e sapere occulto
La breve ma decisiva avventura dei Nabis risale alla fine del XIX secolo (1888 – 1892), proprio quando l’Impressionismo aveva appena iniziato a scuotere le fondamenta dell’arte ufficiale.
Ai tempi, presso le scuole in cui si formavano le nuove generazioni di artisti si respirava un clima di cambiamento e la ricerca di nuove forme espressive diventava sempre più un’esigenza.
L‘eco della rivoluzione dei Nabis – termine che trae origine dall’ebraico e che non a caso significa ‘profeti’ – si protrasse fino alle avanguardie del XX secolo, al punto che questo audace gruppo di artisti viene considerato come anello mancante tra i meglio conosciuti movimenti dell’Impressionismo e le correnti post-impressioniste (Puntinismo, Divisionismo, Fauves, ecc.).
Cerchiamo di capire perché.
Paul Sérusier (1864-1927), un giovane pittore che frequentava l’Académie Julian sui Grands Boulevards, si recò a Pont-Aven, sulla costa della Bretagna, durante l’estate 1888.
Proprio qui, da circa vent’anni, una vivace comunità di artisti si dava un regolare appuntamento estivo.
Sérusier era uno studente ancora in cerca del proprio stile, dunque era ben lontano dall’immaginare che grazie a quel viaggio sarebbe entrato a far parte della storia dell’arte!
A Pont-Aven, Sérusier fece la conoscenza di Paul Gauguin (1848-1903). All’epoca, il pittore stava mettendo a punto una maniera totalmente nuova di dipingere:
«Un consiglio, non copiate troppo dalla natura. L’arte è un’astrazione. Traetela dalla natura sognandoci davanti e pensate più alla creazione che al risultato»
Paul Gauguin,
lettera a Shuffenecker (estate 1888).
Di ritorno a Parigi, Sérusier mostrò ai colleghi dell’accademia (Bonnard, Denis, Ranson, Ibels…) un piccolo pannello di legno su cui aveva dipinto senza alcuna preparazione, rapidamente, seguendo le indicazioni rivoluzionarie di Gauguin.
L’opera s’intitolava “Paesaggio a Bois d’Amour”.
«Come vedete quegli alberi? – diceva Gauguin – Sono gialli. Ebbene, mettete del giallo; quest’ombra, piuttosto blu, dipingetela con dell’oltremare puro; quelle foglie rosse? Mettete del vermiglione».
Così facendo, Sérusier aveva sintetizzato ogni elemento del dipinto, riducendolo a una macchia di colore puro, come il vago ricordo di un’apparenza fugace.
«Un quadro, prima di essere un cavallo di battaglia, una donna nuda o un qualunque aneddoto è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori in un certo ordine assemblati».
Maurice Denis, uno dei membri del gruppo Nabis (1914).
L’innovazione che il piccolo dipinto conteneva era tale che venne presto ribattezzato dagli amici di Sérusier, i futuri Nabis, “Le Talisman” (‘Il Talismano’).
Come mai un pannello realizzato in pochi minuti sollevò tanto entusiasmo?
Per trovare una risposta, è necessario fare lo sforzo di calarsi nei panni di un appassionato studente delle Belle Arti del XIX secolo e, soprattutto, nel panorama artistico del tempo. Proviamoci!
Secondo i Nabis, l’opera degli Impressionisti aveva l’indubbio merito d’aver messo in primo piano l’esperienza sensoriale a discapito dell’«ottusa» imitazione della realtà pretesa dalle scuole d’arte ufficiali – realtà per altro lontana dal corrispondere a verità, già stabilita in partenza, filtrata e idealizzata secondo canoni estetici prefissati.
Pur tuttavia, si trattava solo del calcio di inizio; per i Nabis, occorreva spingersi oltre.
La pittura impressionista aveva dunque un limite, ossia quello di non riuscire a liberarsi dalla resa illusionistica della Natura, concedendo eccessiva importanza alle apparenze.
I Nabis decisero, al contrario, di allontanarsi ulteriormente dall’imitazione della realtà che fino a quel momento li aveva limitati, e questo proprio grazie all’esempio de Le Talisman che li aveva, secondo le parole di Maurice Denis,
«liberati da tutti gli ostacoli che l’idea di copiare apportava ai nostri istinti di pittore».
La missione del gruppo divenne quella di realizzare un equivalente di puro colore della realtà, sublimandola, restituendo la Natura sempre meno attraverso oggetti e sempre più attraverso simboli.
L’avventura era iniziata e il gruppo dei Nabis ben presto si espanse.
A quel tempo, le rivoluzioni artistiche si facevano con poche parole e molta arte e così il gruppo dei Nabis si diede appuntamento ogni sabato per dipingere, discutere e confrontarsi sugli ultimi lavori – che chiamavano “Icone”, non quadri – e adorare Le Talisman.
Le riunioni si tenevano presso l’atelier di Paul Ranson (1861-1909) al 25, boulevard de Montparnasse, soprannominato «Il Tempio», in accordo con l’ambientazione di stampo “mistico” che il gruppo aveva scelto.
Erano giovani, erano amici e volevano lasciare un’impronta nella storia dell’arte mantenendo un po’ di sano humor.
Come dipingevano i Nabis?
Gli elementi naturali e le figure umane vennero progressivamente stilizzate, le linee deformate per accentuarne l’espressione e l’effetto decorativo, i colori stesi puri e piatti, la profondità della composizione ridotta al minimo, senza prospettiva geometrica, proprio come nelle stampe giapponesi che avevano sedotto l’immaginario artistico occidentale del tempo.
La ricerca di questi “profeti” della pittura mirava ad
«andare al centro misterioso del pensiero»
(Maurice Denis)
e a questo scopo i Nabis non esitarono a trarre ispirazione dal mondo dell’occultismo e della teosofia, come dimostra il nome bizzarro che decisero di darsi.
Queste correnti di pensiero, molto diffuse presso gli ambienti intellettuali dell’epoca, proponevano una concezione della realtà nuova composta non solamente dalla dimensione materiale, ma anche da una serie di livelli “sottili” non percepibili attraverso i comuni cinque sensi (eterico, astrale, mentale, ecc.). Probabilmente, la dimensione cosiddetta “astrale”, in cui le emozioni corrispondono a dei colori, dovette aver catturato l’interesse di molti di loro.
Questa concezione di realtà composta da multiple dimensioni condusse inevitabilmente a sfiorare la vertiginosa idea che la materia non sia che un’illusione, la quale perde d’importanza a fronte dell’interpretazione emotiva che ne traiamo.
Un quadro poteva allora trasformarsi in una finestra attraverso cui guardare con gli occhi dell’anima, non solo con quelli fisici.
I Nabis furono dei pionieri anche nello scegliere di attribuire alla pittura un ruolo essenzialmente decorativo che consentisse nel portare il Bello nella vita quotidiana di tutti.
Desiderando abolire il muro – fino ad allora insormontabile! – che separava le nobili Belle Arti dall’Artigianato, i Nabis si dedicarono con costanza alla decorazione degli interni.
Anticipando la rivoluzione dell’Art nouveau di inizio XX secolo che, similmente, tenterà di far migrare l’arte dalle gallerie dei musei ai corridoi di casa, i Nabis si proposero come alternativa moderna allo stile d’arredamento più in voga a Parigi nel XIX secolo, ossia il cosiddetto pastiche, una sorta d’imitazione d’arredo storico.
A differenza della grande diffusione che interesserà l’Art nouveau, gli interventi dei Nabis sul decoro si ridussero alle abitazioni di amici o mecenati già vicini al gruppo e sono dunque rari a trovarsi.
Con queste poche pennellate, spero di avervi invogliato a scoprire meglio le meraviglie dei Nabis. Se vi recate al Musée d’Orsay, non trascurate le sale dedicate a questo gruppo quasi sconosciuto al di fuori della Francia!