Il tragico destino di Madame Élisabeth, sorella di Louis XVI
Stiamo ripercorrendo, da qualche articolo a questa parte, i casi giudiziari di cui si occupò Claude-François Chauveau-Lagarde (1756-1841), difensore d’ufficio della regina Marie-Antoinette e, poco più tardi, della sua antica rivale Madame du Barry. Devo avvisarvi, quello che segue è il caso che amareggiò Chauveau-Lagarde più di ogni altro.
Nel 1794, la Francia stava pagando uno spaventoso tributo di sangue alla neonata Repubblica e la fase più modertata della Rivoluzione francese si era precipitosamente trasformata nel tristemente famoso Regime del Terrore.
All’epoca, una donna di appena trent’anni rinchiusa nella prigione del Tempio viveva tutta per la sua giovane nipote, una ragazza di quindici anni che aveva appena perso entrambi i genitori sul patibolo.
Questa donna era Élisabeth di Francia (1764-1794), ultima delle sorelle del defunto re Louis XVI. La nipote era la giovane Marie-Thérèse, la primogenita della coppia reale, meglio conosciuta come Madame Royale.
Non rappresentando alcun pericolo per nessuno, le autorità rivoluzionarie avevano deciso di esiliare Madame Élisabeth una volta terminato il processo dell’ex-regina Marie-Antoinette, ma l’esecuzione del progetto venne rimandata – e la principessa quasi dimenticata – fino al maggio del 1794.
Per una ragione che ancora oggi si fatica a chiarire, presso il Comitato di Sicurezza generale – che aveva il compito di soffocare la minaccia contro-rivoluzionaria e di sventare ogni tentativo di ristabilire la monarchia in Francia – nacque un’improvvisa preoccupazione per il destino di questa giovane donna.
La sorella di Louis XVI venne chiamata a comparire davanti al Tribunale rivoluzionario, lo stesso che aveva condannato la regina, nonostante lo stesso Robespierre, il più inflessibile dei membri del Comitato, non fosse d’accordo nel ritenerla un pericolo per la Repubblica.
Chauveau-Lagarde venne designato come suo difensore d’ufficio ed informato del suo nuovo incarico, come sempre, un giorno per l’altro. Nel cuore della notte, l’avvocato si precipitò alla prigione della Conciergerie, dove la prigioniera era stata trasferita, con la speranza di riuscire ad organizzare una difesa decente.
Sorpresa! L’accusatore pubblico Fouquier-Tinville – lo stesso che aveva ottenuto la condanna a morte della regina e antico avversario di Chauveau-Lagarde – fece bloccare l’avvocato all’ingresso, adducendo a mo’ di giustificazione che il processo sarebbe iniziato più avanti del previsto. Nessuna fretta dunque, ma Lagarde – che del diavolo avrebbe potuto fidarsi, ma mai di Fouquier-Tinville – decise di presentarsi comunque, l’indomani, all’udienza del Tribunale rivoluzionario. Esattamente come si era aspettato, l’avvocato constatò che Madame Élisabeth attendeva l’inizio del processo assieme agli altri imputati previsti per quel giorno.
Tinville aveva superato ogni misura: con una menzogna, aveva privato Lagarde della possibilità di potersi confrontare con l’imputata per prepararne la difesa e per giunta aveva tentato di impedirgli di presenziare al processo! Cosa gli era saltato in mente? Per cercare di trovare una spiegazione a questa mossa sconcertante, occorre fare un passo indietro.
Qualche tempo prima, Lagarde si era distinto, grazie alla sua oratoria, in un caso che aveva fatto molto scalpore. Un ragazzo di nome Custine, figlio di un generale dell’Armata del Nord che era stato ghigliottinato per sospetta attività controrivoluzionaria – sai che novità! – era comparso davanti allo stesso Tribunale per rispondere dell’accusa… d’esser figlio di suo padre! O meglio, secondo l’accusa, in quanto figlio molto devoto, era naturale che Custine fosse complice delle malefatte del generale. A carico del ragazzo non sussisteva alcuna prova, ma venne giudicato comunque colpevole di… mah, non saprei come definirla… malvagità ereditaria?
«In quale tribunale al mondo si oserebbe permettere di condannare un imputato su dei presupposti simili?»,
tuonò Lagarde in difesa del giovane Custine.
L’arringa dell’avvocato era riuscita a suscitare un clima favorevole all’accusato e la condanna a morte finale aveva sollevato una viva indignazione tra il pubblico.
Tinville non poteva permettere che si ricreasse una situazione tanto pericolosa per l’autorità del Tribunale e questo spiegherebbe il suo tentativo di sabotaggio della difesa di Madame Élisabeth, le cui accuse erano ugualmente inconsistenti. La spiegazione, però, potrebbe non essere così semplice, come vi spiegherò nel prossimo articolo.
Nella realtà dei fatti, la sorella di Louis XVI era colpevole solamente di una profonda e sincera devozione per il proprio fratello, per sua moglie e per i suoi figli, ma al momento dello scoppio della Rivoluzione, Madame Élisabeth si era effettivamente opposta ai partigiani di una monarchia costituzionale, difendendo apertamente i principi dell’Ancien Régime secondo i quali il re siede sul trono per volere divino. Mi piacerebbe riuscire a ripartire col giusto peso le origini di questa posizione: in quanta parte era dovuta a reali convinzioni politiche, in quanta alla fede religiosa e in quanta all’affetto profondo che la principessa nutriva per il fratello?
Quel che è certo è che, nel momento del pericolo, Madame Élisabeth aveva rifiutato di seguire la via dell’esilio come avevano fatto le sue zie e i suoi altri fratelli per rimanere al suo posto, siglando così il suo tragico destino.
La ritroviamo a Versailles al fianco della famiglia reale quando questa venne ricondotta dal popolo a Parigi nell’ottobre del 1789. Era con loro durante il fallito tentativo di fuga a Varennes e non li abbandonò nemmeno il giorno dell’assalto al palazzo delle Tuileries (10 agosto 1792), quando lasciò credere alla folla di essere la regina per permettere ai suoi cari di mettersi al sicuro.
Infine fu naturale, per lei, rimanere al fianco di Louis XVI e della sua famiglia anche tra le fredde mura del Tempio.
Si può quindi affermare che Madame Élisabeth seguì, per scelta e per coraggio, ogni singolo passo del fratello, inclusi quelli che lo condussero al patibolo.
Di cosa dovette rispondere, davanti al Tribunale rivoluzionario, la “sorella del tiranno”?
- Di complicità durante i tentativi di fuga della famiglia reale;
- Di una vendita di diamanti di sua proprietà volta a finanziare le truppe nemiche della Francia;
- Della corrispondenza sospetta intrattenuta con i propri fratelli emigrati, quindi traditori nemici della Patria;
- Della sua amicizia con la regina, la “perfida” vedova Capeto un tempo regina di Francia, condannata per tradimento l’autunno precedente, e così via.
Poco dopo l’esecuzione della sorella di Louis XVI (maggio 1794), nacque un vero e proprio culto attorno alla figura di questa giovane principessa dal destino tragico, la quale venne celebrata, per tutto il XIX secolo, come una martire religiosa.
Vorrei ora trasmettervi qualche sfumatura in più della donna che fu, abbassando per un momento il volume dei cori angelici.
In gioventù, la sorella più piccola del re veniva indicata come una personalità turbolenta e ambigua.
Molto devota, vivace, originale nelle sue scelte – come ad esempio quella di non sposarsi – e, per certi versi, audace, dotata di una spiccata intelligenza e di una propensione per le scienze e la matematica.
Per farsi un’idea del personaggio, basti guardare alla firma di alcune sue lettere giovanili: «Élisabeth la Folle».
Durante l’interrogatorio preliminare, Madame Élisabeth dimostrò un volta di più la fermezza del suo carattere e la limpidezza dei suoi principi, tanto che Chauveau-Lagarde, durante l’arringa, dichiarò che le sue risposte avrebbero dovuto “onorarla agli occhi di tutti” poiché provavano solamente “la bontà del suo cuore e l’eroismo della sua amicizia”.
Una donna forte, una tempra sottomessa solo ai legami affettivi e ai principi in cui credeva, insomma niente a che vedere con l’immagine sdilinquita che si vede nella stampa più in alto.
L’arringa di Lagarde venne giudicata talmente inappropriata che il presidente del Tribunale, Dumas, ne richiese l’arresto immediato ma, per evitare di accrescere la già palpabile tensione, il Tribunale – per il momento – non procedette contro di lui.
Quel triste giorno, Madame Élisabeth salì per ultima i gradini del patibolo, macabro privilegio riservato ai “grandi colpevoli”, una sceneggiatura necessaria per confermare agli occhi della folla la correttezza delle decisioni del Tribunale.
Continua…