
I giardini di Palais-Royal: una Las Vegas parigina scomparsa
Visita i giardini di palais-Royal insieme a me!
Questa è la terza e ultima puntata dedicata a Palais-Royal e ai suoi giardini che si trovano proprio accanto al Louvre. Se hai perso la puntata precedente, eccola.
Abbiamo visto come Palais-Royal era diventato una sorta di villaggio nella città, offrendo ai cittadini un luogo verdeggiante in cui ristorarsi e divertirsi. Vediamo adesso più nel dettaglio i locali e i commerci che avremmo incontrato sotto le gallerie dei giardini, perché le sorprese sono davvero infinite.
Ci troviamo in place Colette, proprio di fronte alla Comédie-Française, sulla destra della quale un accesso discreto consente di raggiungere i giardini. Imbocchiamolo.
Incontriamo per prima la corte d’onore del palazzo, dove si trovano le famose colonne a strisce di Daniel Buren (1985).

Superiamo la corte che una colonnata in stile classico separa da un secondo cortile interno, dove sorge una fontana contemporanea. A cavallo tra Sette e Ottocento, qui sorgevano le Gallerie di legno, un primo esempio di centro commerciale (ne ho già parlato qui).

Dopo la tempesta rivoluzionaria, nel 1814, il palazzo tornò alla famiglia Orléans, per la precisione nelle mani del futuro re Louis-Philippe, figlio di Philippe Égalité, il duca che aveva fatto costruire le gallerie dei giardini (ne parlo qui).

Nel 1829 Louis-Philippe fece rimpiazzare le Gallerie di legno dalla Galleria d’Orléans in pietra, le cui uniche tracce rimaste sono oggi le due colonnate in stile classico che corrono perpendicolari alla corte d’onore (fu demolita negli anni 1930). Nella foto qui sotto io mi trovo sotto quella che si affaccia sui giardini.
La galleria, coperta da una vetrata, era all’avanguardia per l’epoca e ospitava circa 24 boutiques.
Il modellino di questa meraviglia scomparsa è conservato al museo Carnavalet e a osservarlo da vicino ritroviamo alcuni elementi dell’alba della società dei consumi, come ad esempio l’impiego della vetrina, che rivoluzionò le abitudini dei cittadini. Indipendentemente dallo strato sociale a cui appartenevano, i parigini potevano venir ad ammirare le merci esposte e fantasticare di potersele un giorno permettere. Di fatto la galleria era un magnifico intrattenimento in un’epoca in cui la televisione non esisteva e chissà che ruolo ha giocato nelle agitazioni sociali che hanno scosso tutto il XIX secolo.




Dopo questo immaginario giro di shopping, avventuriamoci nelle gallerie. Cominciamo da quella occidentale, sulla sinistra, la galleria Montpensier.
Mentre procediamo teniamo presente che nel periodo d’oro di Palais-Royal (1780-1830 circa) ogni arcata veniva affittata col locale commerciale al piano terra, l’entrosol, ossia i mezzanino tra piano terra e primo piano e anche i piani superiori.
L’accesso agli appartamenti avveniva dalla strada, non dai giardini dove si trovavano solo boutique. A queste era proibito dipingere le pareti esterne e anche impiegare delle insegne sporgenti, ossia perpendicolari alle pareti, tutto questo per mantenere l’uniformità estetica delle gallerie.
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Galleria Montpensier (ovest)
Numeri 7 – 12 : Café Corazza

In questo café, fondato nel 1787, era consueto consumare una coppa di gelato, una leccornia rara all’epoca.
Negli anni della Rivoluzione francese, il café Corazza era il quartier generale dei giacobini, la fazione estrema repubblicana. Chissà quante decisioni sono maturate ai tavolini di questo locale!
Al piano superiore erano ospitate diverse sale da gioco. Particolarmente famosa era la “Pince-C...” (‘Pizzica-C…’; a voi lascio il piacere di terminare il nome come più vi aggrada). Era raccomandato di non sostare sotto le finestre: i tentativi di suicidio di avventori completamente rovinati pare fossero frequenti, sebbene non credo si facessero male più di tanto, lanciandosi dal primo piano.
Numero 17 : Salon de Cire del dott. Curtius
Il dottor Philippe Mathé-Curtz, detto Curtius, medico e scultore specializzato nella riproduzione di parti anatomiche in cera, aveva riscosso successo realizzando ritratti delle personalità più in vista della sua epoca. Fu il primo a presentare figure in cera a grandezza naturale e ad avere l’idea di aprire al pubblico un salone espositivo dei suoi capolavori.

Nel 1783 trasferì Curtius i suoi capolavori a Palais-Royal, dove le nuove gallerie stavano giusto venendo costruite. Per due soldi l’esposizione era ammirabile da lontano, per quattro si ottenevano i servigi di una guida, per dodici ci si poteva avvicinare e ispezionare le creazioni da vicino.
Dalle incisioni che contemporanee si deduce il salon era tappezzato di specchi, di busti di personaggi di personaggi famosi e che una balaustra teneva a distanza i visitatori.

Una delle attrazioni più famose era Grand couvert à Versailles in cui la famiglia reale sedeva a tavola in compagnia dell’Imperatore Giuseppe II, una visione tutt’altro che comune per i cittadini di Parigi!

Ad aiutare Curtius nell’impresa vi era sua nipote, scultrice di talento anch’essa, la più tardi celebre Madame Tussaud. Entrambi seppero approfittare degli stravolgimenti rivoluzionari, sostituendo i ritratti di personaggi caduti in disgrazia con altri che avevano conquistato il favore popolare.
Per aumentare così le vendite dei biglietti, Curtius allestì anche una sorta di camera degli orrori, l’antecedente di quella che anni più tardi sarà creata dalla nipote a Londra. L’esposizione comprendeva i ritratti di famosi criminali e cimeli dalla discutibile autenticità, come la camicia insanguinata del re Henri IV.
Infine, perfettamente in linea col gusto dell’epoca, esibiva anche delle “curiosità” viventi, quali un prussiano incredibilmente sovrappeso o dei bambini con dei problemi di pigmentazione della pelle…
Numero 36, primo piano : Café des milles Colonnes
Al Café des Milles Colonnes (‘Caffé delle Mille Colonne’) le colonne in realtà erano una trentina, ma riflesse da specchi strategicamente posizionati per creare una moltiplicazione illusoria.
Nel 1815 avremmo visto una fila di curiosi galanti in attesa di gettare uno sguardo su La Belle Limonadière (‘La Bella Venditrice di Limonata’), ossia Madame Romain, la moglie del proprietario.

Pare che Madame Romain fosse di una bellezza straordinaria e che sedesse al centro della sala, in mostra come un’opera d’arte. Folle di adoratori si riversavano nel locale e ne facevano la fortuna.
Non sappiamo se Madame Romain gradisse o meno questa occupazione, ma dopo la morte accidentale del marito, avvenuta nel 1826 per una caduta da cavallo, la bella vedova si ritirò definitivamente in convento.
La fama delle sue grazie era tale che le vennero dedicati poemi e canzoni e non cessarono le citazioni letterarie a lei riferite nemmeno dopo la sua scomparsa, ad esempio in César Birotteau di Balzac.
Numeri 57-60 : Café de Foy
Ed eccoci al turbolento Café de Foy che, dal 1784, occupava ben sette arcate. È ai tavoli di questo locale dall’aspetto innocuo che si accese la miccia della presa della Bastiglia!
Il 12 luglio 1789, Camille Desmoulins, avvocato e giornalista intimo di Robespierre, balzò su una delle sedie sotto gli alberi del giardino per annunciare il rinvio, da parte del re, del popolarissimo ministro delle finanze Necker. L’arringa infiammò l’audience e si concluse con la mitica incitazione “aux arms!” (‘alle armi!’).

Desmoulins afferrò una foglia di ippocastano e se la appuntò a mo’ di coccarda, invitando tutti a fare altrettanto per potersi riconoscere l’un l’altro. La scelta del verde, colore della speranza, non era a caso.

Per prima cosa vennero recuperati, per esser portati in trionfo per le strade, i busti di Necker e del Duca D’Orléans, realizzati dal bravo dottor Curtius.
La folla si spostò di teatro in teatro (allora molti spettacoli erano diurni) per raccogliere altra gente finché la manifestazione incontrò un reggimento che mise fine all’entusiasmo con e armi. La fiamma della rivolta, però, non si estinse e anzi, divampò ancora più feroce due giorni dopo alla Bastiglia.
L’evento del café de Foy entrò nella storia al punto che una statua in bronzo di Camille Desmoulins venne eretta nei giardini di Palais Royal nel 1905, ma poi fu rimossa e distrutta nel 1942 sotto l’Occupazione tedesca.

Numeri 68-75 : Théâtre des Variétés
Il teatro di Beaujolais, poi detto Teatro des Variétés, era diretto – udite, udite! – da una donna, Marguerite Brunet, detta Mademoiselle Montansier (1730-1820), protetta dal re Louis XVI e dalla regina Marie-Antoinette, al punto di affidarle per circa vent’anni la direzione dei teatri di Versailles, Fontainebleau, Saint-Cloud, Marly, Compiègne, Rouen, Caen, Orléans, Nantes et Le Havre!

Al momento dell’inaugurazione del teatro di Palais-Royal, la Montansier aveva sessant’anni, una carriera al culmine e una vitalità inarrestabile.
Il suo ottimo naso per gli affari le suggerì di approfittare dell’ambiente tollerante, privo di polizia, per ammettere le cortigiane nel foyer del suo teatro. In effetti, le diciassette arcate controllate da Mademoiselle ospitavano, oltre al teatro, anche due case di piacere.


Oggi, il bel teatro che vediamo esternamente ai giardini di Palais-Royal, all’angolo tra la rue de Montpensier e la Rue de Beaujolais, è il Théâtre du Palais-Royal. La sala da spettacolo, infatti, venne rinnovata e riaperta nel 1831. La facciata coi mosaici di Sèvres disegnata da Paul Sedille, invece, è del 1880. Il teatro è ancora in funzione.

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Galleria Beaujolais (nord)
Nel 1806, in uno degli appartamenti sovrastanti la galleria di Beaujolais, si spense a settantaquattro anni il pittore Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), famoso per i suoi quadri libertini.
L’artista aveva lavorato con successo per l’aristocrazia ma, con la Rivoluzione francese, essendo venuti a mancare i suoi mecenati, si trovò a vivere nell’indigenza. Come se non bastasse, la sua tomba, al cimitero di Montmartre è irriconoscibile e perciò perduta per sempre.

Numero 82 : appartamenti di Mademoiselle Montansier
Al piano nobile, vi era l’appartamento di Mademoiselle Montansier, la direttrice del teatro.
Le finestre del suo salon si affacciavano sui bei giardini di Palais-Royal e all’interno si accalcavano compositori, poeti, artisti, drammaturghi, giornalisti, attrici e cortigiane celebri… un vero centro di scambio culturale e di vita mondana!
Tra queste mura, la grande Montansier si spense dopo novant’anni di avventure, certa d’essersi battuta fino all’ultimo respiro per se stessa, i suoi teatri, i suoi attori.
Numeri 79-82 : café de Chartres, poi ristorante Véfour
Il café de Chartres, fondato sotto il regno di Louis XVI, rimase attivo fino al 1820. Alcune boiserie alle pareti risalenti alla fondazione sono ancora conservati, ma i sontuosi decori interni di stile neoclassico – potete spiarli dalle vetrine! – risalgono in gran parte al 1820, anno in cui Jan Véfour, il nuovo proprietario del café de Chartres, decise di aprire un ristorante di lusso che portasse il suo nome.
Il Grand Véfour è oggi un gioiello della gastronomia francese, ma a me piace pensarlo calato nel XIX secolo quando, all’ora di pranzo, sarebbe stato normale trovare seduti ai tavoli Victor Hugo, Alexandre Dumas, Lamartine e più tardi la Belle Otéro, Colette, Maria Callas, Jean Cocteau…

Numeri 83-86 : Ristorante Le Véry
Sotto Napoleone (1808) venne inaugurato sotto la galleria Le Véry, un ristorante che proponeva qualcosa di inedito: un menu a prezzo fisso. Il ristorante però dovette vedersela con la concorrenza spietata del Grand Véfour, che giunse infine ad inglobarlo nel 1859.
Numeri 89-92 : café du Caveau poi de la Rotonde
Nel Tableau du Nouveau Palais-Royal si legge che dalle dieci a mezzogiorno gli habitué venivano a prendere un café-crème prima di recarsi alle loro occupazioni; veniva in seguito “l’ora della Borsa” che si trovava poco lontano: il locale veniva invaso fino alle due da una folla chiassosa, che si riuniva per consultare il bollettino dei titoli. Il silenzio cedeva di colpo solamente quando arrivava qualcuno con una notizia fresca che poteva ribaltare le decisioni, poi il fracasso ricominciava.

Nel pomeriggio, invece, i parigini venivano qui a bere la loro tazza di caffè, una novità di grande successo, oppure un bicchiere di liquore. Quello era il momento delle animate discussioni su letteratura, opera, commedia e tragedia: tutti potevano partecipare per dire la loro sulle ultime novità.
Si poteva rimanere fino a tardi, perché il locale era ben rischiarato da lampade a olio di ultima generazione, le lampade alla Quinquet inventate nel 1780.
Il caffé rimase un luogo di ritrovo e discussione politica anche durante la Rivoluzione, come mostra la stampa intitolata Les motionnaires conservata al museo Carnavalet; l’atmosfera qui è meno gaia e leggera della rappresentazione precedente, destinata a ornare uno schermo a mano (antenato del ventaglio).

Si percepisce agitazione, tensione; si notano dei militari e che le tenute degli avventori sono poco curate, mentre nella prima immagine si vedono mise all’ultima moda, come quella del signore in costume beige con stivali e bastone, tipica conseguenza dell’Anglomania che imperversava negli anni 1780, ossia un gusto diffuso per tutto ciò che veniva da Oltremanica (ne parlo qui).
Più tardi il café prese il nome di café de la Rotonde per l’aspetto rotondeggiante che l’ingresso aveva assunto, un punto di ritrovo mondano di prima linea di inizio Ottocento.

In questo acquerello si può percepire la vivacità dell’esterno del café. Sullo sfondo si scorge l’interno di un libraio. Più avanti la moda dei cappelli ricoperti di fiori ci riporta alla moda 1813-1814, solo un anno prima della caduta dell’imperatore Napoleone.

Numero 99 : café Méchanique
Questa meraviglia aprì le porte nel 1785 e chiuse agli inizi della Rivoluzione francese (1789).
Una volta all’interno non avremmo visto alcun personale, eccetto la cassiera. Ci saremmo accomodati al tavolo, avremmo tirato uno degli anelli attaccati alle gambe, che erano in realtà cilindri vuoti. Avremmo sentito suonare un campanello sotto di noi e poi un’apertura si sarebbe spalancata sulla gamba: da qui avremmo gridato l’ordinazione, poi l’apertura si sarebbe richiusa, per poi riaprirsi con quanto richiesto. Tale apertura era infatti l’estremità di un monta-vivande meccanico. La meraviglia attirava folle di curiosi.
Numeri 100-102 : Café Lamblin
Il Café Lamblin, o Lemblin, aprì nel 1805.
Nella prima metà dell’Ottocento, il panorama politico francese era conteso da due fazioni principali, sapientemente rappresentate dal pittore Boilly in questa scena ambientata proprio al café Lamblin all’epoca della Restaurazione (1815-1830).
A destra, gli “ultras” conservatori, nostalgici dell’Ancien Régime e della monarchia, sono rappresentati da un giocatore anziano che sfoggia la decorazione dell’Ordine di San Luigi, importante ordine cavalleresco, e delle aristocratiche culotte; a sinistra, un più giovane avversario vestito all’ultima moda, più borghese, sfoggia la legion d’onore, un ordine cavalleresco di stampo laico, istituito da Napoleone Bonaparte.

Inutile dire che le risse erano all’ordine del giorno al café Lamblin, al punto che, sotto al bancone, si tenevano pronte delle spade di emergenza.
Numero 103 : café des Aveugles, il café dei Ciechi
Il café des Aveuglesi si trovava nel seminterrato. Venne creato sotto la Rivoluzione, ed era un luogo di ritrovo dei sans culottes. All’entrata, come un’insegna, si poteva leggere: « Ici, on s’honore du titre de citoyen, on se tutoie, et l’on fume », ossia ‘Qui ci si onora col titolo di cittadino, ci si dà del tu e si fuma.’

Secondo le testimonianze e varie leggende tramandate, l’atmosfera di questo café era décontractée, o ‘informale’, per usare un eufemismo. Lo spazio era suddiviso in venti piccole cantine dove accadeva… Beh, per averne un’idea basti sapere che il poeta Gérard de Nerval (1808-1855) nelle sue Nuits d’octobre afferma che l’orchestra, composta da musicisti non vedenti, era stata scelta perché all’epoca rivoluzionaria “vi accadevano cose che avrebbero rivoltato il pudore di un’orchestra”. Cosa volesse dire, io di preciso non lo so, lascio a voi l’onere di immaginare.

A metà Ottocento il café proseguiva ancora la sua attività, un po’ più morigerata, offrendo lo stesso spettacolo tutte le sere, tra cui la performance scalmanata di un “selvaggio” con tamburo e quella di un uomo “con la bambola” (forse un ventriloquo.)
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Galleria Valois (est)
Numero 113 : sangue e gioco d’azzardo
Durante la Rivoluzione francese, il Café Fevrier fu lo sfondo di un omicidio!
Il 20 gennaio 1793 era la vigilia dell’esecuzione del deposto re Louis XVI. Il processo si era concluso circa un mese prima.
Quel giorno, un’ex-guardia del corpo del sovrano si recò a Palais-Royal, entrò nel café e si avvicinò al marchese Le Peletier de Saint-Fargeau.

«Sei tu quello scellerato di Lepeletier, che ha votato la morte del re?» domandò il soldato.
In effetti, il marchese aveva votato la morte del sovrano al processo.
«Ho votato secondo la mia coscienza, che ti importa?» rispose questi.
«Tieni, ecco la tua ricompensa.»
…e il marchese fu trafitto da una lama di spada!

Le Peletier fu il primo a diventare “‘martire della Rivoluzione”, seguito poi da Marat pochi mesi dopo (ne parlo più in giù).
L’hôtel particulier di Le Peletier a Parigi, ossia la sua elegante residenza, è oggi sede della ricchissima collezione del museo Carnavalet dedicata, non a caso, al periodo rivoluzionario (la puoi visitare insieme a me!)

Nel caso ve lo steste chiedendo, il suo assassino non fece una fine migliore: il 1 febbraio, quando i gendarmi vennero a cercarlo a casa sua per arrestarlo, Philippe Nicolas de Pâris, così si chiamava il ricercato, si uccise con un colpo di pistola alla testa.
Sempre allo stesso civico, in una sala da gioco del piano superiore, il temibile feldmaresciallo prussiano Blücher perse una cifra stellare alla roulette.
Era il 1815 e il feldmaresciallo aveva appena sconfitto Napoleone a Waterloo, nonché invaso Parigi con le sue truppe. Si disse che Blücher avesse perso al gioco l’equivalente di 48oo0 euro in una sola notte, una sorta di rivincita per i parigini.

Numeri 119-120 : teatro delle ombre e illusioni
Dal 1784 al 1870 a questa altezza si trovava un celebre teatro erotico di marionette e ombre cinesi, il Théâtre de Séraphin.
Sozzerie e spettacoli per bambini nello stesso luogo: com’erano moderni questi antichi! Alcune rare tracce sono sparse per i musei parigini, tra cui il museo Carnavalet.


Un centinaio di ombre del Théâtre de Séraphin sono ricomparse magicamente nei mercatini d’antiquariato circa 65 anni dopo la sua chiusura (1870), come questa vecchia dama con il naso adunco (ombra in metallo del 1790-1830) conservata alla Cinémathèque française.
Sul lato esterno della galleria, quello che dà sulla strada invece che sui giardini, al numero 11 di rue Valois, troviamo un altro alto luogo dello spettacolo che accolse frotte di visitatori dal 1845 al 1852, il teatro Robert-Houdin.

Monsieur Eugène Robert-Houdin fu il padre dell’illusionismo moderno, che proprio qui ebbe inizio, grazie alle sue Soirées fantastiques (‘Serate fantastiche’). Un ventaglio-souvenir veniva offerto all’entrata agli spettatori per combattere la calura, ma era anche un utile modo di farsi pubblicità.
(Da leggere anche Breve storia parigina della Magia: fantasmagorie, illusionisti e musei dell’impossibile)
Numero 177 : La coltelleria Badin
Sentite la necessità di assassinare qualcuno per “una buona causa”? La coltelleria Badin avrebbe fatto al caso vostro! Proprio qui, l’enigmatica Charlotte Corday si procurò il fatidico coltello col quale avrebbe poi assassinato il fanatico rivoluzionario Jean-Paul Marat.

Durante il breve periodo che le rimase da vivere dopo la sua impresa, la bionda Charlotte, 25 anni, bella, educata e con un passato senza macchia, divenne una leggenda vivente.
Il processo fu uno dei più surreali del periodo: la calma glaciale e il candore di Charlotte furono tali che i presenti dovettero constatare come la sua difesa consistesse “nel non averne nessuna”.
La Corday, infatti, non fece alcuno sforzo per negare la propria colpevolezza. Si sfiorò addirittura la farsa quando un avvocato dell’accusa sostenne che Charlotte doveva essersi “esercitata a lungo” con le armi da taglio per riuscire a uccidere con un colpo solo e che pertanto l’omicidio doveva esser stato premeditato molto tempo prima.
«Oh! Che mostro!» esclamò lei «Mi prende per un’assassina!»
(Per saperne di più leggi anche Charlotte Corday: il processo surreale di una bella assassina)
Spero abbiate gradito questa passeggiata sui sentieri del tempo a Palais Royal.
Se volete sentire il racconto dal vivo e scoprire i luoghi insieme a me, vi ricordo che ho dedicato un tour alla “Capitale di Parigi”.