Il secondo Cabaret du Chat Noir: l’apice e il tramonto di una leggenda
Il secondo Cabaret du Chat Noir si trovava al 12 di rue de Laval (oggi rue Victor-Massé, IX arrondissement) a due passi da Place Pigalle. All’inaugurazione (anno 1885) presenziò la vivacissima comunità intellettuale e artistica della Parigi della Belle Époque, già habituée del primo cabaret, in boulevard de Rochechouart.
Lo sgabuzzino del cabaret venne soprannominato “l’Istituto”, uno spazio riservato a clienti selezionati tipicamente coinvolti nelle riunioni più burrascose.
Atto terzo
Un arredo firmatissimo
Il locale era decisamente più grande del primo e si sviluppava su due piani. Gli avventori erano alcune delle menti più brillanti del tempo e ciascuna contribuì, più o meno spontaneamente e secondo il proprio talento, ad accrescere la qualità delle esperienze che il cabaret poteva offrire, a cominciare dall’esterno”.
La facciata era un’autentica opera d’arte la cui decorazione, sovrabbondante come richiesto dal gusto eclettico del tempo, portava la firma di tre artisti illustri, vediamoli.
All’apice dell’ingresso, ben visibile ai passanti, un gatto in terracotta incorniciato da un’aureola e raggi dorati troneggiava in quanto simbolo del cabaret. L’opera era firmata da Alexandre Charpentier (1856-1909), scultore ed ebanista meglio conosciuto per le meravigliose boiseries art nouveau che realizzava per l’interno delle palazzine parigine più chic. Al Musée d’Orsay ne è conservato un esempio maestoso.
Le due grosse lanterne che illuminavano l’ingresso vennero invece disegnate da Eugène Grasset (1845-1917) pittore, incisore, pubblicitario e grafico all’epoca molto conosciuto.
L’insegna con gatto e luna risaliva al primo cabaret ed era firmata da Adolphe Willette (1857-1926) pittore, illustratore, caricaturista e litografo, come anche la grande tela del Parce Domine che decorava l’interno del locale, oggi conservata al Musée de Montmartre.
I camerieri dovevano sfoggiare l’imitazione della celebre uniforme verde dell’Académie francaise, una delle più antiche istituzioni del paese la cui principale funzione è ancora oggi quella di vegliare sulla lingua nazionale.
Il Teatro delle Ombre de Le Chat Noir
Questi sono solo tre delle innumerevoli personalità che partecipavano alla vita del cabaret le quali, raccolte in un ambiente stimolante ispirato dal vino, potevano davvero concepire e realizzare meraviglie. La più famosa fu, senza dubbio, l’avventura del Teatro delle Ombre.
Un bel giorno, il pittore Henri Rivière (1864-1951), le cui vedute parigine fanno sognare ancora oggi, propose a Rodolphe Salis (1851-1897), fondatore, proprietario e direttore dello Chat Noir, di dotare il cabaret di un teatro di marionette.
Grazie alla collaborazione di un altro habitué del locale, l’artista Henry Somm (1844-1907), il progetto venne convertito in un teatro d’ombre, una tipologia di spettacolo che si ispira a quello tradizionale delle ombre cinesi, ma che lo sviluppa e lo arricchisce di nuovi elementi.
Gli spettacoli si tenevano al secondo piano del cabaret nella cosiddetta Salle des fêtes (‘Sala delle feste’), mentre il piano terra era denominato Sala delle Guardie – decisamente, la fantasia di Rodolphe Salis non tralasciava nessun dettaglio, dalla divisa dei camerieri fino ai nomi delle sale. Il successo fu immediato.
Alla realizzazione delle pièces contribuirono diversi frequentatori del cabaret. Gli scrittori si occupavano dei copioni, i canzonieri scrivevano canzoni ad hoc, gli artisti disegnavano i fondali e le silhouette delle ombre, i compositori fornivano gli accompagnamenti musicali – spesso al pianoforte – e così via.
Dapprima le ombre erano realizzate in cartone, in seguito vennero sostituite da silhouette di zinco, materiale che consentiva dei contorni più netti ed espressivi.
La messa in scena non era affatto semplice, visto l’ampio numero di effetti speciali da attivare in tempo esatto, i fili, lo spazio esiguo dietro lo schermo, ecc.
Nonostante ciò – o forse proprio a causa di queste caratteristiche peculiari –, il Teatro delle Ombre ottenne spesso il tutto-esaurito, tanto da convincere Rodolphe Salis ad organizzare delle tournées. In effetti, gli spettacoli del cabaret trovarono una calorosa accoglienza anche fuori dalla Ville Lumière, fino ad oltrepassare i confini europei (rimase famosa la tappa di Chicago).
Purtroppo, si sa, tutte le mode – e con esse il successo che concedono – sono effimere. Lo Chat Noir aveva trasformato la vita di Montmartre e ispirato l’apertura di molti altri cabaret i quali, a loro volta, gli rubarono la scena. Rodolphe Salis prese la cosa con il consueto autocontrollo e, dopo aver fatto a pezzi a colpi d’ascia gli interni del cabaret, giurò di farne sorgere un terzo sui Grands Boulevards. In realtà, le tournées lo avevano esaurito sia fisicamente che psicologicamente e così, per la prima volta, gli mancò la forza di realizzare il suo proposito.
Salis morì nell’anno 1897 e il suo Chat Noir non poté fare altro che seguirlo fedelmente e in silenzio, lasciando qua e là i frammenti di una leggenda furtiva quanto i passi felpati di un gatto fatti di inchiostro, di zinco, di musica e terracotta.
«Siamo partiti in molti, la falange che eravamo in quello Chat Noir dove abbiamo trovato tante gioie e che ci ha lasciato anche tanti ricordi amari. Quanti rimaniamo oggi, quanti sono scomparsi, Caran-d’Ache, Alexandre Charpentier, non contiamoli, sono troppi…»Théophile Steinlenin una lettera ad Adolphe Willette20 febbraio 1906