Pierrot, maschera prediletta della bohème
Pierrot è una delle maschere più amate del mondo artistico, letterario e musicale parigino.
Le sue rappresentazioni sono un po’ ovunque, ma furono gli artisti di Montmartre – la bohème degli anni 1880 – ad eleggerlo come propria mascotte a cavallo tra XIX e XX secolo.
Eppure le origini di Pierrot non sono francesi, bensì italiane. Nato nell’ambiente sbarazzino della Commedia dell’Arte italiana di fine Cinquecento, l’originario Pedrolino conobbe i palchi francesi solamente a partire dal 1673, sotto il regno del Re Sole, Louis XIV.
Il suo nome venne tradotto in francese come petit Pierre, (‘piccolo Pietro’), in seguito tramutato in Pierrot.
Ai tempi della sua comparsa, Pierrot parlava.
Divenne muto solamente a partire dal 1820, grazie alle leggendarie performances del mimo franco-boemo G. Deburau (1796-1846), presso lo scomparso Théâtre des Funambules (‘Teatro dei Funamboli’) di Parigi.
Debureau fece perdere a Pierrot gran parte dell’astuzia e della doppiezza caratteristiche del personaggio italiano, per trasformarlo in un personaggio sfortunato, malinconico, poetico, innamorato della luna, oppure dell’incostante Colombina che puntualmente gli spezza il cuore.
Cuffia nera, sguardo triste, abito bianco e nemmeno una parola: Deburau fissò i tratti tipici del Pierrot che conosciamo, ma le evoluzioni parigine del personaggio non sono affatto finite.
Verso la fine del XIX secolo, un altro artista – una delle anime della Montmartre della Belle Époque – reinventò il personaggio.
Adolphe Willette (1857-1926), autore dell’insegna del celebre cabaret du Chat Noir e del design della prima facciata del Moulin Rouge,avrebbe conferito al personaggio un indelebile tocco bohémien.
Gli spettacoli dei clown e mimi americani Hanlon-Lees, che proprio in quegli anni animavano i teatri parigini, stuzzicarono l’immaginazione dell’artista che non perdeva uno spettacolo.
«Non trascorro una sera senza andarli a vedere alle Folies-Bergère», scriveva.
La locandina, realizzata da Jules Chéret, altra figura emblematica del panorama artistico del tempo, raffigurava i clown e le loro acrobazie compiute in elegante abito nero. Willette trasse certamente ispirazione da questa: la nuova mascotte di Montmartre avrebbe rivestito la medesima tenuta scura.
I disegni che Willette improvvisava ai tavoli del cabaret du Chat Noir gli valsero il soprannome del suo personaggio preferito, al punto che il malinconico clown divenne una sorta di suo alter ego.
Pierrot nero incarnava perfettamente lo spirito della bohème parigina e dei suoi rappresentanti.
Simbolo del poeta galante perseguitato dalla sventura, squattrinato e irriverente, Pierrot divenne il vendicatore mascherato delle ingiustizie della società borghese.
Le vignette di Willette legarono indissolubilmente Pierrot all’immagine dell’artista vittima di un destino tragico ineluttabile, di un’autentica vocazione al fallimento.
Le avventure di Pierrot ricordavano quelle dell’individuo romantico, goffo, tenero, totalmente incompatibile con una società ossessionata dal profitto.
In quegli anni, alla maschera più amata dagli artisti venne dedicato un melodramma, intitolato Pierrot Assassin, interpretato dalla celeberrima attrice Sarah Bernhardt, sempre attenta alle evoluzioni del gusto (1883).
Ma Pierrot, si sa, non è capace di star fermo e ben presto abbandonò la butte Montmartre per attraversare gli oceani e subire un ulteriore evoluzione nella tenera figura di Charlot, il vagabondo di Charlie Chaplin, che fece la sua comparsa sugli schermi nel 1914.
Charlot aveva forse un aspetto diverso, ma ereditava da Pierrot l’insofferenza per le ingiustizie, il cuore grande, la vocazione ad amare e a fallire.
Il mito del mimo Deburau del Théâtre des Funambules venne immortalato nel celebre film di Marcel Carné, intitolato Les Enfants du Paradis (tradotto in italiano come ‘Gli amanti perduti’), sceneggiatura di Jacques Prévert.
L’opera, girata nel 1945, anno in cui la Francia si trovava ancora sotto l’occupazione della Germania nazista, è ad oggi considerata uno dei capolavori del realismo poetico.
Pur perseguitato dalla sfortuna, Pierrot non smette di evolversi e di venir celebrato dal mondo artistico moderno, forse perché il senso d’impotenza che condivide con le anime poetiche, negli anni, non è diminuito.
« Dove vai Pierrot?
Pallido e triste,
così senza un sorriso giocondo,
cerchi l’amore nel mondo.
Che vuoi sperare dalla vita quaggiù,
quando c’è gente che non ama più? »
Dalla canzone “Canta Pierrot” di Sergio Endrigo (1963)