Victor Hugo: dalla parata celebrativa alla sfilata dei dolori.
Questo è l’ultimo di tre articoli dedicati alla tragica vita di Victor Hugo.
Abbiamo parlato del suo matrimonio infelice, della sua infedeltà, della straziante perdita della figlia più amata, Didine, del lungo e malinconico esilio che dovette affrontare assieme alla famiglia e della sfortunata fuga d’amore della sua ultima figlia, Adèle, la quale venne rinchiusa in un asilo per alienati subito dopo il suo rientro in Francia.
Soffermiamoci su di lei un istante.
Sulla fondatezza della diagnosi di “pazzia” di Adèle i dubbi da sollevare non mancano.
Adèle Hugo era sicuramente molto sensibile e durante l’esilio aveva sofferto per ben quattro giorni di una non meglio specificata “crisi di nervi”. Tale instabilità, non poteva sollevare comunque alcun sospetto circa ciò che la fragile giovane stava preparando in segreto.
Dopo la perdita della sua adorata sorella maggiore, il temperamento di Adèle si era trasformato, sprofondando nella malinconia e nel languore.
Durante l’esilio, i suoi fedeli compagni furono il digiuno, la solitudine e il silenzio e pareva che ogni ardore in lei si fosse spento per sempre.
Oggi parleremmo di “sindrome depressiva”, ma allora si preferiva dire “temperamento melanconico”, che per di più andava di moda tra le dame dell’alta società. Nulla di troppo preoccupante, insomma.
Qualcuno ritiene che Victor Hugo fece rinchiudere Adèle perchè non era in grado di tollerare il suo spirito d’indipendenza.
Certamente non le perdonò mai la sua fuga d’amore, né l’angoscia, la preoccupazione e lo scandalo di cui fu la causa, tuttavia occorre, ancora una volta, calarsi nella mentalità dell’epoca per comprendere meglio ciò che accadde.
La diagnosi di “pazzia”, ai tempi, aveva confini talmente incerti – in particolare nei riguardi delle donne – che non è tecnicamente possibile accusare il fiero scrittore di averla falsificata, non se ci caliamo nella mentalità del XIX secolo.
Una donna incontrollabile, che si rifiutava di accettare il ruolo impostole dalle convenienze, doveva per forza essere pazza, questa era l’unica spiegazione che la società, sostenuta dalle teorie mediche e scientifiche ufficiali, allora forniva.
La sorte di Adèle fu inumana e ingiusta, ma per l’epoca – ahimè – molto comune e perfino giustificata.
Il ricovero di Adèle non fu però l’unica amarezza a guastare il rientro in Francia di Victor Hugo dopo il lungo esilio politico. La festante accoglienza si trasformò ben presto in una processione interminabile di condoglianze.
A tre anni dalla morte della moglie Adèle, l’amato figlio maggiore di Victor Hugo, l’energico e allegro Charles, si spense improvvisamente per un attacco di cuore a soli 44 anni.
Morendo improvvisamente, Charles lasciava a suo padre Victor due delle gioie più grandi della sua vita: i nipotini Georges e Jeanne.
Dal celebre film Il Corvo, tutti ricordiamo la frase: “Non può piovere per sempre”. Ciò non si applica alla vita di Victor Hugo.
Dopo appena due anni, si spense il gentile François-Victor – il fratello preferito della piccola Adèle, nonché quello che l’aveva sempre difesa – stroncato da una crudele malattia “di petto”.
François-Victor era conosciuto per aver tradotto dall’inglese le “Opere complete di William Shakespeare”, pubblicate in 18 volumi dal 1859 al 1866 – decisamente, il polso dello scrittore era di famiglia.
Infine venne il lutto più temuto, quello che avrebbe annunciato a Victor Hugo la fine di se stesso: la compagna di una vita, che gli era sempre rimasta devota e fedele, che lo aveva venerato e servito come genio, che lo aveva difeso, accudito e sempre perdonato, la dolce Juliette Drouet lo lasciò per sempre.
Victor Hugo non toccò più la penna e la seguì due anni più tardi.
Qualcuno osservò che, accanto ad un uomo superbo ed egoista quale fu Victor Hugo, avrebbe potuto resistere solo una donna succube come Juliette, la quale aveva rinunciato per lui alla carriera di attrice, nonché alla vita sociale stessa (doveva informare il geloso Victor di ogni spostamento!).
Sono in parte d’accordo, ma al tempo tesso non posso fare a meno di pensare che un uomo tormentato come l’autore de Les Misérables non avrebbe in alcun modo potuto sopportare il proprio terribile destino senza avere una roccia come Juliette a sostenerlo, a sanare le piaghe più profonde del suo spirito, a rischiarare le ombre più cupe della sua disperazione.
La vicenda personale di Hugo lascia il segno anche quando narrata così sommariamente e ho voluto ripercorrerla perchè ritengo che vicendee leggendari come la sua, una volta rivestita di umanità, abbia molto più da insegnare.
«Morire non è nulla. Non vivere è spaventoso».
Victor Hugo