Montmartre o Mont-matto? Aneddoti un po’ macabri della collina della follia
Le leggende e le storie bizzarre che la celebre collina di Montmartre racconta fanno sorgere il sospetto che, in passato, il suo suolo sia stato infettato con qualche misteriosa sostanza.
Lungo le stradine nostalgiche che un tempo erano costeggiate da mulini e popolate da animali, è possibile incontrare le tracce di vicende bizzarre – alcune decisamente macabre – che fecero la storia del colle più “matto” di Parigi. Ma… partiamo dalle sue origini.
Il nome “Montmartre” è già di per sé un enigma.
Secondo una delle ipotesi più note, il termine si riferirebbe all’antico tempio di Marte che sorgeva sulla collina al tempo degli antichi romani (da mons Martis).
Secondo un’altra teoria, invece, il nome sarebbe la contrazione di “mont-des-Martyrs” (‘monte dei Martiri’) e deriverebbe dalla sinistra vicenda di un malcapitato, anzi tre, che sulla collina “persero la testa”, dando il via a una tradizione che si sarebbe protratta per secoli, sebbene in senso figurato. Si trattava del venerabile Saint-Denis e di due suoi compagni, Éleuthère e Rustique, i quali vennero decapitati proprio qui per non aver voluto rinunciare ad evangelizzare la Gallia romana, nonostante i numerosi avvertimenti.
Cristiano avvisato, mezzo salvato, a patto che non sia in odore di santità, ecco infatti il colpo di scena: una volta decapitato, narra la leggenda, Saint-Denis si riprese la testa, salutò educatamente e si allontanò accompagnato da un coro angelico che non lo abbandonò nemmeno quando, lungo il tragitto, si arrestò per lavare il macabro souvenir in una fontana del colle, all’estremità dell’odierno impasse Giradon.
La fontana divenne da allora miracolosa – cela-va-sans-dire! – e di tanto in tanto gli abitanti sostennero di continuare a udire misteriosi canti nei pressi. Ciò non deve stupire: per avere diritto ad abitare Montmartre, come si vedrà, sentire le voci costituiva quasi un requisito.
La fonte oggi non esiste più, inghiottita come molte altre dalle cave di gesso che resero la Butte un vero gruviera, ma una statua commemorativa non poteva mancare.
Non lontano da qui, esiste un angolo che un tempo avrebbe trascinato chiunque in un’atmosfera surreale, sano di mente o meno. Durante i rigidi inverni parigini, l’acqua di un abbeveratoio, a contatto con l’aria, sprigionava nubi di vapore che avvolgevano alcune antiche residenze nobiliari di campagna.
In certe grigie, desolate, affascinanti mattine autunnali, sono riuscita ad immaginare come doveva apparire Montmartre al tempo della follia: vento e mulini, bicocche e animali, qualche villa desolata e silenzio. Solo i nomi delle strade conservano il segreto dei vapori: rue des Brouillards, ‘via delle nebbie’; nei pressi, una folie o casa di campagna prende lo stesso nome, Château des brouillards; ed infine rue de l’Abreuvoir, ‘via dell’abbeveratoio’.
Se il ricordo dell’ atmosfera ammaliante di questo angolo ci è pervenuto, è soprattutto grazie alla descrizione che ne fece uno scrittore, il quale risiedette per quasi dieci anni allo Château de Brouillards che citavo poc’anzi, una villa del XVIII secolo che sorge a pochi passi dalla fonte brumosa.
«Ciò che mi seduceva più di tutto in questo spazio riparato dai grandi alberi dello château des Brouillards (‘castello delle nebbie’) erano i resti della vigna legata al ricordo di Saint Denis che, dal punto di vista filosofico, era forse il secondo Bacchus – Denis deriva in effetti dal greco Dionysos, il dio del vino, che i Romani trasformarono in Bacchus – Poi veniva il via vai dell’abbeveratoio che la sera si anima dello spettacolo di cavalli e cani che vi si bagnano… Ammirabile luogo di ritiro, silenzioso a quel tempo…».
Gérard de Nerval
A dirla tutta, quella non fu l’unica residenza sulla collina di Gérard de Nerval (1808-1855), geniale poeta i cui deliri lo resero di diritto un figlio prediletto della butte. Nerval oggi è celebrato come genio ma, esattamente a pochi passi da qui, venne curato come pazzo nella mitica clinica del dottor Blanche a cui ho dedicato un articolo a parte.
Tra i ricoverati della leggendaria clinica, alcuni si fanno notare più degli altri:
- Jacques Arago (1790-1854), famoso per aver scritto, per sfida, un libro di 62 pagine senza usare mai la lettera “A” – ma questo grazie al suo genio letterario, non alla sua malattia!
- una ex dama di compagnia della regina Marie-Antoinette che aveva perso la ragione non potendo sposare Robespierre – non proprio un sex-symbol, ma de gustibus…
- l’eroica Madame de Lavalette (1781-1855), che impazzì di terrore dopo aver salvato il marito dalla ghigliottina organizzando un’evasione degna di Arsène Lupin – anche la sua vicenda merita un articolo a parte.
- infine viene il malinconico scrittore a cui accennavo poche righe più sopra: Gérard de Nerval.
Il povero Gérard era un fol délicieux – ‘folle delizioso’, così lo chiamavano – conosciuto negli ambienti intellettuali dell’epoca per la sua eccellente traduzione del Faust di Goethe.
Apprezzato da scrittori quali Charles Baudelaire e Alexandre Dumas, Gérard de Nerval era membro dell’esclusivo “cenacolo dei romantici” che si riuniva a casa di Victor Hugo.
D’altra parte, l’irrequieto poeta non doveva essere una compagnia semplice da gestire: di indole gentile, ma sempre triste e schivo, appena aveva due soldi Nerval scompariva per mesi, perso in viaggi e vagabondaggi interminabili, o che finivano quando finivano i soldi (si dice che una volta tornò a Parigi dalla Germania passando per la Svizzera… a piedi!).
Un giorno venne visto passeggiare per i giardini di Palais-Royal con un astice vivo al guinzaglio. Lui non ci trovava proprio nulla da ridere:
«In cosa un astice sarebbe più ridicolo di un cane, di un gatto o di ogni altra bestia da cui ci facciamo seguire? A me piacciono gli astici, i quali sono tranquilli, seri, conoscono i segreti del mare, non abbaiano…».
Straordinario poeta del sogno e dell’irreale, Gérard de Nerval soffriva di allucinazioni e attraverso la scrittura tentava di cogliervi un senso, un’illuminazione.
La sua tragica vicenda si concluse una notte nevosa di gennaio in cui gli venne l’insana idea di uscire.
Neanche un mese dopo aver pubblicato quelle righe sulle nebbie di rue de l’Abrevoir e solo pochi giorni dopo essersi fatto ritrarre nello studio fotografico di Nadar, Gérard de Nerval venne trovato impiccato a una grata di rue de la Vieille-Lanterne – «il posto più sordido che potesse trovare», secondo Baudelaire. Ci vorranno quasi 70 anni perché le sue opere trovino il loro posto nel panorama letterario francese.
Ma il filone della follia si insinua nei vicoli della Butte fino a portarmi nell’angolo di sana follia che preferisco. Una casetta che sa di campagna, un vecchio albero distorto dal tempo, sul muro un allegro disegno: un coniglio. E allora procedo: in quanto Alice, è per me praticamente d’obbligo seguire il coniglio…
(Per conoscere le folli storie che questa casetta nasconde, leggi il seguito: Il Lapin Agile: il cabaret degli assassini e l’orribile crimine di Pantin)