La moda si racconta(6) – Vestirsi ai tempi della Rivoluzione francese
[ Copertina © Giorgia Gordini ]
In quest’intervista a puntate Madame la Mode, ossia la Moda in persona, ci racconta il suo passato francese.
Nell’articolo precedente, abbiamo visto come a partire dagli anni 1780 i nobili e i borghesi abbandonarono il gusto opulento e ridondante del Rococò in favore di uno stile più semplice.
Un’epoca era finita, il cambiamento era nell’aria. La Rivoluzione francese scoppiò nel 1789 e lei, Madame La Mode, giocò qualche ruolo?
Giocai, eccome! In prima linea!
Nei primi anni della Rivoluzione, quelli che precedettero l’abolizione della monarchia (10 agosto 1792), si diffuse a macchia d’olio il gusto per la civiltà classica, culla della democrazia.
La passione per l’antichità era iniziata cinquant’anni prima, grazie agli scavi di Pompei ed Ercolano (1738).
Il confronto con i modelli classici aveva comportato, ad esempio, un graduale abbandono degli arabeschi del Rococò, in favore delle linee sobrie del cosiddetto goût grec, ‘gusto greco’.
Ciò risultava evidente soprattutto negli interni delle ville e dei palazzi che andarono via via semplificandosi.
Nel mobilio, i dettagli in bronzo dorato si fecero allora meno vistosi, le superfici di legno più estese e i motivi decorativi presi in prestito dall’antichità iniziarono ad apparire un po’ ovunque, mescolati a quelli ancora legati al Rococò.
Questo cosiddetto “periodo di transizione” comparve nei decenni che precedettero lo scoppio della Rivoluzione francese.
E per quanto riguarda l’abbigliamento, Madame, come influì la Rivoluzione?
Le donne abbandonarono definitivamente i paniers, simbolo dell’Ancien Régime.
Gran parte dell’aristocrazia era emigrata all’estero e i privilegi della nobiltà erano stati aboliti: non era saggio mostrare nostalgia per un regime decaduto!
I modelli di abito più diffusi erano quelli considerati “democratici”, poiché ricordavano le tenute della classi popolari, come caracos e pierrots (vedi articolo precedente).
I nuovi dettami della Moda rivoluzionaria estremizzavano quelli ispirati dagli scritti di Rousseau (vedi articolo precedente), rispettando le forme naturali del corpo e con esse, l’autenticità e la spontaneità dell’individuo libero.
Una situazione inedita per me fu la messa al bando della vanità, che era stato l’appannaggio esclusivo di nobili e ricchi borghesi.
Finite le corse dalle modiste! Dal 1793 al 1797, le gazzette e le riviste di moda addirittura scomparvero.
Ma la Moda non era sconfitta, tutt’altro: avevo semplicemente cambiato campo di gioco, dalla mondanità alla politica.
Guardiamo la tenuta maschile, per esempio: se è vero che l’abito non fa il monaco, per lo meno sotto la Rivoluzione faceva il patriota!
Sarebbe a dire?
Vestendo gli abiti del popolo, i rivoluzionari più ferventi intendevano mostrare con fierezza non solo le loro origini, ma anche il loro credo politico.
Venivano indicati col termine di sans-culottes, ossia ‘quelli senza le culottes’, i calzoni aderenti che terminavano sotto al ginocchio e che erano una componente essenziale della tenuta maschile aristocratica.
Il termine venne trasformato dagli stessi sans-culottes in una una dichiarazione d’appartenenza a un’ideologia politica, sebbene spesso non si trattasse davvero di operai, bensì di piccoli e medi borghesi e imprenditori che miravano a un miglioramento della propria posizione.
Il dress code del sans-culotte era costituito da lunghi e morbidi pantalons e da una giacca di tela, detta “carmagnole”, abbottonata spesso a caso, per dare un tocco di “libertà” in più.
Ovviamente, non vi era traccia dei tradizionali polsini di pizzo che arricchivano le maniche degli habits aristocratici, né di cravatte raffinate, sostituite da semplici foulard di lana.
Ai piedi meglio indossare le calzature del popolo, gli zoccoli, oppure delle scarpe chiuse da lacci. Mai e poi mai esibire delle fibbie, che contraddistinguevano le calzature aristocratiche!
L’insieme andava completato – per legge! – dalla coccarda tricolore, tre cerchi concentrici dove il bianco, il colore dei Borbone e dunque della monarchia, si inseriva tra quelli di Parigi, il blu e il rosso.
Caduta la monarchia, il rosso venne associato alla Repubblica, mentre il bianco passò a simboleggiare l’armata che stava difendendo la Nazione dal nemico straniero.
Le parrucche incipriate erano fuori discussione: sui capelli naturali, il copricapo più popolare era il berretto frigio, o pileus, indossato nell’antica Roma dagli schiavi liberati.
Così il popolo francese dichiarava di aver riconquistato la propria libertà.
Anche il linguaggio dovette adattarsi alla piega estrema assunta dalla Rivoluzione: non era più concesso pronunciare gli appellativi di monsieur e madame, sostituiti dai più democratici cittadino e cittadina.
Specialmente durante il regime del Terrore, un abbigliamento conveniente era un fattore-chiave per sperare di salvarsi da eventuali denunce.
Vi è un’eccezione curiosa però: il più noto tra gli estremisti rivoluzionari, che divenne più tardi il simbolo del Terrore (benché non fosse affatto il solo ad agire), Maximilien de Robespierre, non mise mai i pantaloni!
Robespierre preferiva un’eleganza di stampo tradizionale, che poteva permettersi di sfoggiare senza conseguenze grazie alla sua posizione di potere, certo, ma anche e soprattutto per via della sua nota incorruttibilità e cieca dedizione alla causa rivoluzionaria.
Insomma, un giacobino…démodé!
Quali altre novità ricorda di quel periodo tormentato, Madame?
La scena inedita delle donne in pantalons, senza dubbio!
A Parigi, molte donne, benché sempre prive del diritto di voto, si erano schierate in prima linea a sostegno della Rivoluzione.
Le più audaci vestivano i pantalons come i loro mariti ed eran note con l’appellativo – sempre di stampo classico – di “amazzoni”.
Ora, l’uguaglianza era uno dei valori cardine della Rivoluzione, ma senza esagerare: queste forme di “travestitismo” vennero condannate non solo dal governo rivoluzionario, ma anche dalle donne più tradizionaliste!
In effetti, prima della Rivoluzione, il ruolo della donna aveva guadagnato spazio in settori che, fino a quel momento, le erano stati preclusi.
A ciò contribuirono le dame parigine protagoniste del “bel mondo”, che tenevano salotto con le menti più brillanti del tempo, divenendo di fatto protettrici e promotrici delle nuove concezioni filosofiche, artistiche e letterarie.
La stessa regina Marie-Antoinette, sebbene inconsapevolmente, aveva contribuito a lanciare una nuova dimensione della femminilità non più relegata alla sfera domestica, bensì caratterizzata da un percorso professionale di successo, e lo fece circondandosi di donne in carriera, quali la sua modista Rose Bertin o la pittrice Élisabeth Vigée – Le Brun,
Giornaliste, filosofe, artiste, commediografe, studiose e scienziate…
Il Secolo dei Lumi aveva spianato la strada, almeno in apparenza, a un’emancipazione femminile senza precedenti. La dice lunga il fatto che l’Accademia reale di Pittura e Scultura, nel 1770, decise di limitare a 4 il numero massimo di donne ammesse tra i suoi membri…
La Rivoluzione aveva acceso una fiamma partendo da tizzoni già ardenti, ma il movimento venne rapidamente soffocato con l’avvento del secolo successivo.
Nell’anno 1800, le autorità ristabilirono la divisione di genere nell’abbigliamento, rendendo obbligatorio per le donne un permesso scritto della Prefettura, qualora queste volessero sfoggiare un pantalon.
E questo veniva concesso unicamente per esigenze lavorative o… igieniche!
(Da leggere anche Il pantalone nel XIX secolo: quando le parigine rischiavano l’arresto)